di Giancarlo Di Stadio
Censura nel cinema: storia ed evoluzione. Il rapporto tra arte e scandalo è sempre stato una costante nella storia dell’uomo.
Si può dire che tutta la storia artistica è sempre stata in bilico tra l’accettazione, spesso grazie alla veicolazione attraverso l’arte di un sistema valoriale gradito a chi detta le regole, la provocazione e la censura.
E spesso a determinare l’accettazione o la censura è stato proprio il livello di provocazione insito nell’opera.
Dal semplice provocare tanto per provocare fino alla provocazione apertamente politica.
Fino alla provocazione come mero strumento di marketing.
Il cinema, come arte rappresentativa del XX secolo, un secolo di grandi contrasti, non ha potuto esimersi da questo discorso.
Nel cinema, entrando in gioco diverse componenti, da quella testuale a quella visiva, ed essendo esso la prima “arte di massa”, la provocazione e la controversia hanno assunto livelli decisamente fuori scala rispetto ad alti medium artistici.
E sono spesso stati termometro sociale e politico più di altre arti.
Certo, i “braghettoni” di Michelangelo, la scure prima asburgica e poi sabauda che ha colpito compositori come Verdi e Puccini, le bocche storte dei censori alla lettura di romanzi pruriginosi, hanno accompagnato la storia dell’arte fin quasi dai suoi albori.
Ma è col cinema, proprio per la sua natura più “di massa” rispetto ad altri medium, che il tema del “controverso” ha raggiunto vette mai toccate prima.
Spesso la controversia è legata al sesso o alle scene di sesso. Sia perché esso è troppo esplicito, oppure perché non rispecchia determinati “valori morali”.
Ad esempio, in un epoca in cui il movimento LGBT non era così accettato e pervasivo come oggi, destò grande scalpore la relazione gay tra due uomini in I segreti di Brokeback Mountain.
Eppure stiamo parlando di nemmeno 15 anni fa.
Immaginatevi quindi la puritana America come reagì quando nel 1932 in Sangue Ribelle ci fu il primo bacio omosessuale della storia del cinema americano!
Cambia il sistema di valori, ma il puritanesimo di base che contraddistingue la società americana continua ad avere l’isteria estremamente facile.
Ultimamente anche in versione retroattiva.
Così, in piena epoca di #MeToo e di ossessione per l’oggettificazione della figura femminile (ma non quella dell’uomo, tranquilli Jason Momoa che per ¾ di film mostra di addominali nessuno ve lo toglie… per ora!), l’indignazione e la controversia si spingono fino a voler censurare opere del passato.
Sharon Stone in Basic Instict (1992) torna, per motivi diversi, nell’occhio del ciclone per la celebre scena dell’accavallata di gambe, mentre la polemica retroattiva si spinge fino a chiedere una censura per la scena dello stupro col burro di Marlon Brando e Maria Schneider in Ultimo tango a Parigi.
Nel paese che ha inventato il maccartismo e che ha portato all’esasperazione la caccia alle streghe succede anche questo.
Legioni di twittatori scandagliano film del passato pronti a gridare all’-ismo non appena qualcosa va in contrasto con la nuova morale puritana.
Via col Vento è razzista, la comicità demenziale di American Pie viene giudicata mascolinità tossica, persino il colore della pelle dei doppiatori dei Simpson diventa motivo di isteria e di tentativi di censura.
Non dobbiamo quindi stupirci che, in un ecosistema così “fiocco di neve” e così pronto a gridare all’-ismo per ogni minima cosa, la polemica sia sempre dietro l’angolo.
Eppure, tra gli anni ‘60 e ‘80, ossia quando il sistema valoriale del maccartismo stava finalmente crollando e il neoliberismo non aveva ancora trionfato, nella stessa America nasceva la New Hollywood.
E con essa la sfida aperta a vari tabù, tra cui principalmente proprio il tabù del sesso.
L’impressione era che, caduta l’oppressiva morale religiosa, le nuove libertà spingessero i registi ad “osare” sempre di più, arrivando anche, attraverso il sesso e la conseguente critica alla morale puritana, ad intrecciare stoccate pesanti alla società dei padri e madri e alla politica dei vecchi.
Il Laureato metteva in scena il rapporto tra il toy-boy e la cougar, Gola Profonda sdoganava l’orgasmo femminile in primo piano, Catherine Deneuve, oggi in prima fila contro il neo-puritanesimo americano, destava scandalo con Bella di Giorno.
Ed anche tutto il cinema occidentale ne traeva beneficio.
Così in Italia, provincia dell’Impero, Pasolini con Salò o le 120 giornate di Sodoma e Marco Ferreri con La Grande Abbufata intrecciavano sesso, potere e decadenza facendo storcere più di un occhio ad una classe politica ancora impregnata di censura clerico-fascista.
Martin Scorsese nel 1988 invece intrecciò sapientemente sesso e religione in L’ultima tentazione di Cristo.
Proteste in Vaticano e film che, ancora oggi, è censurato nelle Filippine e Singapore. La colpa? Aver messo in scena una vita “alternativa” che Gesù sogna di avere mentre è sulla croce.
Vita in cui c’è anche un rapporto carnale con Maria Maddalena.
Uno schiaffo ai dogmi religiosi e alla finta perfezione del Cristo, un’esaltazione dell’umanità di Gesù! Per di più da parte di un cattolico come Scorsese.
Lo stesso Scorsese, pochi anni prima, in Taxi Driver mise in scena la prima baby prostituta della storia del cinema.
Forse troppo per un pubblico che ancora 20 anni dopo griderà allo scandalo per la relazione “platonica” tra Matilda e Lèon in Lèon di Luc Bresson e che 40 anni dopo boicotterà il film Netflix Cuties per presunto incitamento alla pedofilia.
Eppure nell’epoca in cui mediocrità come 50 sfumature… e Bridgerton fanno il pieno di pubblico suona strano come il sesso sia ancora considerato un tabù anche in maniera retroattiva.
O forse la critica si concentra solo sul sesso declinato in maniera non conforme ai valori “liberal-borghesi”?
Se il sesso è a-politico, quindi fine a se stesso, va bene anche l’esagerazione, se invece esso è veicolo di un determinato messaggio politico-sociale allora via all’isteria di massa? Non è un’ipotesi da escludere.
Qui entriamo in un secondo campo, la controversia politica e sociale.
Il cinema da sempre è stato politica e la stessa società, con le sue problematiche, non può essere scissa dalla politica o dalla critica politica.
Ogni atto, a modo suo, è politica: anche usare una cinepresa.
Mezzo attraverso il quale veicolare determinate idee, il cinema ha sempre fatto politica.
L’epica della frontiera, il cinema di guerra, la lotta USA vs URSS messa in scena dai vari Rocky o Rambo.
Come accaduto col tabù del sesso, nel momento in cui il cinema tocca il sociale, e attraverso esso ha la pretesa di fare politica in modo non gradito, ecco inevitabile la controversia.
Il già citato Taxi Driver, il Cacciatore, Arancia Meccanica, tutti film che, in un modo o in un altro, volendo essere sociali e politici, hanno generato controversie.
Il tema dell’alienazione, della follia, della sindrome del Vietnam, dei disturbi post-traumatici.
Senza dimenticare i vari documentari, ad esempio quelli di Michael Moore, due su tutti Bowling Columbine e Fahrenheit 9/11.
Tutti, in un modo o in un altro hanno incontrato qualche polemica.
Sia per la violenza eccessiva, sia per la veicolazione di valori ritenuti sbagliati dal sistema valoriale americano.
Ma il problema non è mai stato la violenza in se. Come non lo era il sesso in se.
È che attraverso la violenza o il sesso essi rappresentano una critica inaccettabile a determinati valori.
E la “Torre d’Avorio” è corsa ai ripari.
Purtroppo oggi, con il sempre maggior ruolo della major e la coincidenza tra produzione e distribuzione, la polemica e la controversia è lasciata ad elementi marginali.
Troppo balckwashing, poco blackwashing, gender-swap o non gender-swap, ommioddio c’è un pene di gomma sullo sfondo!. Qualcuno pensi ai bambini!
La stessa controversia ormai sembra essere diventata uno mero strumento di marketing.
Si grida allo scandalo per qualcosa che il sistema valoriale ha già ampiamente accettato, con il solo fine di far parlare di prodotti sempre più vuoti di contenuti davvero scandalosi.
Tutto è marketing, anche lo scandalo.
Temi e tematiche davvero scandalose vengono censurate “a monte”, addirittura mai prodotte e le stesse critiche sociali spesso finiscono con un’assoluzione (o auto-assoluzione) del sistema valoriale che le genera.
La controversia resiste nel cinema indipendente, nei circuiti non monopolizzati dalle major, ma ormai nel mainstream lo scandalo è diventato in tutto e per tutto un modo per vendere un prodotto.
Anzi spesso è pretestuosamente inserito solo e soltanto per aumentare la vendibilità di tale prodotto.
È il capolavoro della censura.
Far diventare l’oggetto della tua eventuale censura mero marketing per vendere il tuo prodotto e le polemiche che accompagnano la messa in onda il megafono dal quale urlare un’indignazione che nemmeno avrebbe motivo d’esistere.
Come può essere scandaloso qualcosa che è già accettato da coloro a cui dovrebbe provocare scandalo?
Come può essere controverso un qualcosa che ha avuto già il placet (se non addirittura la sponsorizzazione diretta o indiretta) da parte di chi dovrebbe essere bersaglio di questa controversia?.