Sherlock: la serie tv tratta dai romanzi di Conan Doyle. Con il volto di Benedict Cumberbatch, Sherlock ed il suo fidato amico Watson, danno il bentornati allo spettatore al numero numero 221B di Baker Street.
Sono molti i personaggi letterari che hanno avuto le più svariate rivisitazioni in chiave moderna. A volte risultano riuscite, altre volte meno. Di certo Sherlock Holmes, il detective nato dalla penna di Arthur Conan Doyle, è uno dei personaggi che ha riscosso più fortuna nel tempo.
Molteplici infatti le rivisitazioni in chiave moderna del personaggio. Sia giocando sui comportamenti e la caratterizzazione di Sherlock, come accaduto ad esempio con l’Holmes di Robert Downey Jr., sia giocando sul trasportare nell’oggi il controverso detective londinese.
La serie tv
Una delle trasposizioni meglio riuscite è infatti la miniserie britannica in onda dal 2010 al 2017. Quattro stagioni e dodici puntate. La serie è interpretata da due attori britannici in tutto e per tutto, perfetti per i personaggi in salsa londinese della trasposizione: Benedict Cumberbatch nel ruolo di Sherlock Holmes e Martin Freeman in quello del suo “assistente” il dottor John Watson.
La serie si mostra come un libero adattamento moderno dei romanzi di Doyle. Watson, medico militare reduce dalla guerra in Afghanistan (proprio come con il Watson dell’800) ha difficoltà a reinserirsi nella società.
Alla ricerca di un coinquilino con cui dividere il costoso affitto a Londra, si ritrova in casa con lo stravagante Sherlock. Nell’iconico 221B di Baker Street.
La serie da questo momento in poi si dipana in diverse puntate in cui vengono seguiti casi autoconclusivi.
Non manca però una macro trama che collega i vari episodi. Sherlock prima è alle prese con la sua nemesi James Moriarty nelle prime tre stagioni, poi con sua sorella Enola nell’ultima stagione.
La scelta vincente
La scelta, in controtendenza con la serialità tipica occidentale che tende ad accorciare gli episodi e a spalmare la trama principale fino quasi ai buchi di trama, è invece quella di concentrarsi su casi singoli.
Pur non tralasciando una crescita e un’evoluzione dei personaggi, soprattutto per quanto riguarda il rapporto d’amicizia tra i due protagonisti, gli episodi si mostrano autoconclusivi e ben spalmati. La lunghezza, anche qui in controtendenza con le serie tv a cui ci ha abituato ad esempio Netflix, è di circa un’ora ad episodio.
Un tempo che, sebbene per gli standard di oggi possa dimostrarsi eccessivo, è sufficiente sia per dipanare bene nel dettaglio le trame, sia per non annoiare lo spettatore sommergendolo di dettagli irrilevanti.
Come detto, Sherlock si mostra quindi come una delle migliori trasposizioni moderna di un personaggio vittoriano. Lungi dall’inserire anacronismi valoriali all’interno di setting ottocenteschi, peccando di eccessivo wokismo (Enola Holmes di Netflix, coff coff coff…), Sherlock riesce invece a trasportare al meglio personaggi ottocenteschi in un setting moderno, riuscendo a prendere la caratterizzazione gioco forza “antica” e svecchiarla al meglio.
Sherlock, ma anche Watson e tutti i personaggi secondari ma comunque importanti come Mycroft, Enola, Moriarty e Mrs. Hudson risultano freschi ma al contempo familiari per i lettori dei romanzi. Non si avverte particolare stravolgimento, nonostante al contempo si riesca a trovare tutti i personaggi perfettamente inseriti nel setting contemporaneo.
In definitiva la serie Sherlock risulta una delle migliori trasposizioni non solo di un personaggio letterario, ma anche di un personaggio letterario ottocentesco in chiave moderna.
La capacità di rendere coerenti personaggi partoriti in un’epoca in cui il setting valoriale era totalmente diverso da oggi, ma riuscendo al contempo a farli percepire come familiari è uno dei maggiori meriti degli sceneggiatori.