di Mariachiara Leone
E’ lui il volto che si cela dietro l’architetto immaginario Namgoong Hyeonja per la realizzazione della casa del film di Bong Joon-ho: Parasite.
Realizzata completamente da zero, la casa che funge da enorme set del film vincitore agli Oscar 2019 “Parasite”, è stata frutto dell’unione artistica tra lo scenografo Lee Ha Jun ed il regista (famoso per la sua maniacale cura al dettaglio) Bong Joon-ho.
La casa non casa: il set e lo scenografo
Questo progetto non è un progetto architettonico e l’architetto non è altro che uno scenografo. Anche in questo, il film mantiene un gioco di specchi e doppi.
La totalità della casa resta infatti solo su carta e tutti gli ambienti del film sono in realtà quattro enormi set creati da Lee Ha Jun tra esterni ed interni.
La maniacalità dei due, la scelta del più piccolo particolare: dal tavolo al cestino della cucina, alle opere d’arte presenti alle pareti, fanno sì che lo spettatore credi di essere effettivamente nello stesso grande spazio architettonico dell’esterno della casa mostrata durante tutto il film.
“Spiegai allo scenografo che il set sarebbe stato cruciale per le linee di blocco. I personaggi dovevano essere in grado di intercettare o nascondersi dagli altri, come quando la governante originale torna a casa. Lo scenografo ha avuto un esaurimento nervoso ogni giorno. Gli oggetti di scena, i mobili e i dipinti, era tutto molto costoso, quindi ci diceva di fare attenzione continuamente”
La scenografia doveva rispecchiare in pieno i livelli del registro narrativo della storia.
Per questo gli spazi della casa presentano innumerevoli elementi, come le scale, che richiamano l’artista Maurits Cornelis Escher famosissimo per le sue architetture impossibili.
Se si immagina poi la lunghissima ripresa senza stop elaborata per le scene del seminterrato della casa e dell’enorme set che lo scenografo ha dovuto elaborare per permettere alla troupe di muoversi liberamente mentre gli attori interagivano tra loro, l’impresa è stata mastodontica tanto quanto la realizzazione della Sistina da parte di Michelangelo (un paragone volutamente esagerato per “rendere l’idea”).
Moltissime sono state le ispirazioni (forse non volute esplicitamente) a lavori di architetti famosissimi nel mondo dell’arte.
Il richiamo a Le Corbusier è inequivocabile quando si pensa agli esterni della “scatola della casa dei Park”.
La casa dei Park è sviluppata tutta su un primo livello a cui si aggiunge il livello “basso” del sottoscala e del seminterrato scavato nel sottosuolo (un riferimento che ricorda moltissimo la soluzione presente in Villa Savoye) ed un piano “superiore” dove sono collocate la camera padronale e le camere da letto dei due figli dei coniugi.
Le scene che si svolgono al piano superiore sono prevalentemente in corridoio che è il corrispettivo di quello che si trova al primo livello.
Il livello in cui narrativamente si svolgono le vicende è il primo piano dell’abitazione occupato da un salone open space diviso dalla cucina con soluzioni congrue per il fine del regista: creare spazi “ciechi” dove all’occorrenza un personaggio può palesarsi o celarsi all’altro sotto l’occhio vigile della cinepresa.
Gli ambienti, che combinati insieme attraverso il gioco di vuoti e pieni dello spazio, sono legati anche e soprattutto all’esterno dell’abitazione ed in particolare al giardino che antecede la lunghissima vetrata che a vista consente agli spazi di “guardarsi a vicenda”.
Insomma, una casa, quella di Parasite, personaggio principe del film che non avrebbe avuto presa sullo spettatore senza l’apporto del suo ideatore e tutto lo staff di produzione.
Una casa che moltissimi “ricconi” avrebbero voluto accaparrarsi se “solo fosse stata vera”. Ennesimo paradosso perfetto a dispetto di quando denunciato dal film di Bong Jook-ho.
Regista che continua a “dar prova di sè” con i suoi nuovi progetti in cantiere e con la notizia (ormai datata per gli standard dell’online) che lo vede a capo della giuria di Cannes 2021.