di Mariachiara Leone
Giù in fondo nel sogno surrealista delle artiste dell’avanguardia novecentesca.
Non solo Dalì e Mirò. Non solo Breton e Magritte. Non solo Ernst.
Il Surrealismo, avanguardia artistica nata in Francia nel 1924, non è stato alimentato solo dalla produzione artistica di questi “altisonanti” nomi della storia dell’arte mondiale.
Certo, essi costituiscono l’inizio di tutto.
Il gruppo che nel 1930 dichiara “guerra alla ragione” stilando il manifesto del surrealismo.
Un manifesto nel quale la dichiarazione d’intenti è chiara. Rivendicare nelle arti (dunque non solo nella sfera artistica ma anche in quella letteraria e così via) l’importanza dell’intangibile. Dell’inconscio che trascende il raziocinio.
Immaginiamolo allora, questo gruppo che ad un tavolo, di fronte a del buon cibo (i loro piatti preferiti) discutono di pittura, scultura, letteratura e del nuovo lavoro nel campo della psicoanalisi di un certo Freud.
Tutti si accalcano a quel tavolo curiosi ed ignari che, dall’altra parte di quell’affascinante locale che è il Surrealismo, c’è un tavolo occupato da un gruppo di donne.
Artiste che nel corso della loro vita furono tacciate di essere: pazze, deviate, selvagge, indecenti, instabili.
Questa è la storia di come si sono fatte largo nel mondo delle discipline artistiche con tenacia e grinta, smarcandosi dall’essere etichettate come: mogli, madri, compagne, amanti, muse.
Leonora Carrington: “la donna capace di tenere testa a Breton”
Artista dallo spirito indomito, compagna di Max Ernst con il quale ebbe una storia d’amore passionale e travagliata, la Carrington tra il gruppo di donne facenti parte del Surrealismo, è forse la più conosciuta.
Scomparsa nel 2011, Leonora non è stata solo una grandissima artista, distinguendosi nella pittura e nella scultura, ma anche una abilissima illustratrice, scrittrice e drammaturga.
Il bellissimo saggio “Leonora Carrington. Un viaggio nel Novecento. Dal sogno surrealista alla magia del Messico“, scritto da Giulia Ingarao, ne ripercorre la vita.
“Per molti surrealisti incarnava i due archetipi del femminile: femme enfant e femme sorcière”
Questo volume è prezioso in quanto offre una serie di interviste e materiale inedito che l’autrice ha potuto raccogliere durante la frequentazione diretta con l’artista nel periodo in cui visse in Messico.
Nata il 6 aprile del 1917 da una famiglia benestante (il padre era un magnate del tessile), Leonora ebbe una infanzia abbastanza turbolenta contraddistinta da amici immaginari tratti dai suoi romanzi preferiti: “Alice nel paese delle meraviglie” e “I viaggi di Gulliver”, e da una serie di espulsioni dalle verie scuole che frequenta.
Considerata “diversa”, a nove anni venne inviata nel Convento del Santo Sepolcro affinchè gli venisse impartita una degna istruzione al pari delle altre bambine inglesi di buona famiglia.
Leonora però è ribelle, appassionata e cerca con ogni mezzo di aggirare le regole ferree del convento.
Quando le suore si accorgono che può scrivere anche con la sinistra, al contrario sugli specchi e colta “mentre conversava col diavolo” (molto probabilmente intenta invece ad intavolare discorsi con i suoi amici immaginari) la dichiarano ufficialmente “ineducabile” ed espulsa.
Questi sono solo alcuni degli aneddoti presenti nel testo e che aiutano a comprendere anche la produzione artistica della Carrington la cui infanzia sarà fondamentale per sviluppare quella passione verso il mondo animale e la “messa su carta ed arazzi” delle sue visioni.
Uno degli incontri fondamentali per la sua vita è sicuramente quello con Edward James.
Con James, Leonora condividerà l’interesse comune verso il macabro, l’esoterismo e l’alchimia. Sarà il primo acquirente dei suoi lavori artistici ed i due saranno legati da una profonda amicizia fino alla morte di quest’ultimo nel 1984.
“L’interesse di Leonora per la psicologia di Jung è legato alla tendenza mistica che la caratterizza e, soprattutto, all’interesse per il processo di metamorfosi spirituale che essa identifica con l’alchimia del passato”
La vita della Carrington è stata costellata da incontri, amicizie profonde (come quella con Edward), da fervente creatività e curiosità verso il mondo (in particolare quello non visibile). Fondamentale è stata la sua storia d’amore tormentata con Ernst e il periodo nero della seconda guerra mondiale (di cui racconterà in “Giù in fondo”). A farla da “padrone indiscusso” della forza motrice che la spingeva “nell’oltre” sarà l’arte.
L’arte che la accompagnerà fino ai suoi ultimi giorni ed all’ultimo messaggio per il pubblico: quella del 2010 alla mostra “Surreal Friends: Leonora Carrington, Kati Horna, Remedios Varo”.
Seduta accanto alla Carrington, al tavolo sopracitato, c’è proprio Remedios Varo.
Il Messico ad oggi ricopre un ruolo centrale nel discorso dell’arte contemporanea del 21esimo secolo.
Da sempre terreno fertile per il fervente spirito creativo di artisti di varie discipline, il Messico non è solo terra di noti come Frida e Diego ma anche di artisti del calibro della Varo.
Remedios Varo: l’artista ispano-messicana
Si conoscono molto bene, ed in tutte le “salse”, gli artisti messicani come Frida Kahlo e Diego Rivera, ma quello che pochi sanno e che Remedios Varo oltre ad essere considerata una delle più grandi artiste messicane ha conosciuto i due artisti.
Stabilì tra l’altro, una relazione di amicizia con altri intellettuali in esilio (sono anni di tumulto quelli del 41/52), in particolare con l’inglese Leonora Carrington.
Insieme a Leonora Carrington ed a Bridget Bate Tichenor lavorò incessantemente ed espose in Messico dapprima insieme a loro, successivamente in una personale.
Condivise con la Carrington lo studio e l’interesse per il mistico, creando opere profondamente enigmatiche.
Ancora oggi la sua produzione artistica funge da ispirazione ad artisti contemporanei, alcuni degli elementi tipici della sua pittura possono essere rintracciati nella ricerca pittorica contemporanea e alcune delle sue opere hanno ispirato artisti musicali come nel caso di Stefano Ianne.
Stefano Ianne, compositore italiano, profondamente colpito dal talento dell’artista messicana, le ha voluto dedicare un brano per solo pianoforte dal titolo “Remedios” che è contenuto nell’album Iamaca (2016).
La cosa davvero curiosa è che Remedios Varo sia morta lo stesso giorno, dello stesso mese, dello stesso anno in cui nacque il compositore italiano, ossia l’8 ottobre del 1963.
Oltre alla Carrington e la Varo ci sono poi, a quel tavolo delle “dimenticate”, Marie Laurencin, Claude Cahun, Dorothea Tanning e Leonor Fini.
Tre le sopracitate, grandissimi spiriti d’arte e di estro creativo, particolare attenzione si sta avendo per la riscoperta della produzione artistica di Leoner Fini.
Leonor Fini: la “Furia Italiana”
“Poi viene Leonor. Le finestre diventano luce, le ragnatele tende preziose di nuvole e stelle, i rami secchi doppieri accesi, e la sera una grande serata; perché Leonor (come le ho detto mille volte e come non mi stancherò mai di dirle) unisce in sé due grazie: l’infanzia e la maestà.”
(Nella Torre San Lorenzo)
Così le rende omaggio Elsa Morante, con una poesia e la voglia di descrivere cosa suscitino le sue opere d’arte.
Pittrice, costumista, illustratrice, scrittrice e performer, Leonor non amava essere relegata in etichette.
Per la Fini, come per la Carrington, fondamentale sarà, per la sua produzione artistica, il periodo dell’infanzia ed in particolare un accaduto che si trascinerà lungo tutta la sua carriera artistica.
Ella non aveva un buon rapporto con il padre, fin troppo autoritario, per cui la madre soleva travestirla da maschietto per sfuggire alle “ramanzine” dell’uomo.
Questo gioco al travestimento e l’elemento della maschera saranno fondamentali per lo sviluppo della sua arte.
Nata a Buenos Aires il 30 agosto 1907 da padre argentino e madre italiana, la sua formazione avviene però a Trieste dove entra in contatto con l’ambiente mitteleuropeo.
A Trieste vive e studia fin quando, giovanissima si trasferisce a Parigi (dove morirà nel 1996). Qui farà l’incontro di alcune tra le più celebri firme della moda mondiale: Dior, Elsa Schiapparelli, Coco Chanel.
E sarà proprio in quel periodo, negli anni Trenta, che incontrerà Max Ernst che la introdurrà nel gruppo dei surrealisti.
Tramite Ernst ella incontrerà la Carrington, attorno alla quale convergeranno alcune delle personalità più influenti del periodo.
Leonor Fini, come Leonora, deve fare i conti con “la seconda guerra mondiale” e da Parigi nel 1943 si trasferisce nuovamente in Italia, a Roma dove intreccerà profonde amicizie con Elsa Morante, Anna Magnani, Carlo Levi, Luchino Visconti ed altri.
Incontri con intellettuali, artisti, scrittori che hanno reso “famosa” la cultura italiana ed il nostro paese in tutto il mondo.
Non è stata immune da gelosie e critiche, da pettegolezzi e gossip da tabloid, soprattutto per “la sua relazione a tre” con i due uomini della sua vita: Stanislao Lepri (diplomatico italiano) e Constantin Jelenski (scrittore polacco).
La sua è una produzione artistica che non abbandonerà mai il figurativo (un po’ come l’ossessione per Dalì del disegno) ma che è pregna di concetti surrealisti. Una donna camaleonte , che gioca a cambiar pelle ogni volta, proprio come quando la madre la vestiva da uomo per sgattaiolare via.
Un tipo di pittura piena dei colori del suo vissuto e delle sue esperienze.
“Tutta la mia pittura è un incantesimo in un’autobiografia di affermazione che esprime l’aspetto pulsante dell’essere; la vera questione è trasporre sulla tela il senso del gioco”
Erriamo dunque, ignari, all’interno del Surrealismo andando “a servire” sempre e lo stesso identico tavolo. Un tavolo degno di nota certo, ma che rende ciechi a quella enorme ricchezza che siede proprio accanto: quel tavolo di donne, di artiste, indipendenti, indomabili, formidabili e “ineducabili”.
Fonti:
- enciclopediadelledonne.it
- Giù in fondo
- Leonora Carrington di Giulia Ingarao