di Maria Castaldo
Cinema horror negli anni ’70: le final girls ed il passaggio dalla narrazione soprannaturale all’estetica del realismo.
Quando si arriva agli anni ’70, il cinema horror, ancora una volta, accoglie le turbolente vicende di quegli anni (la fine e gli strascichi della guerra in Vietnam, con conseguente rottura dell’apparente invincibilità degli USA in campo militare, tensioni sociali e razziali, l’aumento della criminalità e crisi internazionali) e ne fa materia di orrore nell’orrore, spostando il fulcro della narrazione dal di fuori, dai mostri e dalle creature del soprannaturale a un’estetica del realismo, con particolare enfasi su sangue e violenza e rendendo il mostro chi è molto vicino a noi ed è umano.
I film di questi anni cercando di mostrare che, ora, l’orrore è nelle nostre case e sfuggirgli non è per nulla semplice.
Da Non aprite quella porta e Quel motel vicino alla palude (Tobe Hooper, 1974 e 1976) a Le colline hanno gli occhi (Wes Craven, 1977), fino a Halloween di Carpenter, tutti sdoganano l’illusione della casa come luogo accogliente e familiare, per renderlo invece luogo di indicibili orrori e la stessa immagine della famiglia borghese per bene arriva a disfarsi, perché diventa essa stessa preda di una violenza efferata (come accade per i genitori di Mary Collington in L’ultima casa a sinistra di Wes Craven) o vittime sacrificali del serial killer di turno.
Per il filone dell’occulto non possiamo non segnalarvi L’esorcista (1973) di William Friedkin, The Omen – il presagio (1976) e Carrie, lo sguardo di Satana (1976), che inaugurano la presenza al cinema delle ragazzine possedute.
Anche in questo caso, la presenza del male in loro può essere considerata il rifiuto da parte della società patriarcale e maschilista di vederle crescere e diventare donne.
Dopotutto, Carrie non è che un’adolescente solitaria, che a causa di una madre oppressiva, arriva a non comprendere i cambiamenti a cui il suo corpo va incontro.
In questo decennio si segnala anche la nascita, nel cinema nostrano, di capolavori del genere come Profondo Rosso (1970) e Suspiria di Dario Argento, Reazione a catena (1971) di Mario Bava, quest’ultimo considerato uno dei capostipiti dello slasher movie.
Con questo termine si faceva riferimento a un sottogenere dell’horror in cui un killer uccide, in maniera cruenta, un gruppo di giovani adolescenti.
In realtà, nei film slasher una forte connessione tra sesso e violenza non può essere negata: i protagonisti di solito sono coloro che scoprono le gioie del sesso e la loro promiscuità viene punita con l’arrivo del maniaco omicida, rappresentante di tutti i tabù puritani della società.
Ma la sconfitta di quest’ultimo testimonia come, ormai, i tempi siano cambiati e una più liberale mentalità abbia preso piede nella società americana e non degli anni ’70.
A partire da Non aprite quella porta abbiamo una definizione più accurata degli elementi che caratterizzano il genere slasher tra cui la presenza di un killer mascherato e che uccide con un’arma in particolare (Michael Myers, Freddy Krueger, Leatherface) e, soprattutto, della Final Girl.
Chi sono le Final Girls?
Il termine fu utilizzato per la prima volta da Carol Jeanne Clover nel suo libro Men, Women and Chainshaw e fa riferimento a un trope narrativo: quello della ragazza che in questo tipo di film riesce alla fine a sfuggire al killer, divenendo l’unica sopravvissuta di fatto e ritornando negli eventuali sequel del film.
Questo trope ha permesso finalmente di avere delle protagoniste donne nei film, sebbene sempre soggette al male gaze.
Con la Final Girl l’identificazione del pubblico avviene finalmente con una protagonista, un’eroina e non un eroe.
Inoltre, il personaggio è risolutivo rispetto alle controparti maschili della storia (fidanzati e autorità), sebbene la Final Girl presenti dei tratti di mascolinità, abbia spesso un nome agender e nessun interesse a partecipare a feste o ad avere relazioni.
Una caratteristica della Final Girl, infatti, è quella di essere vergine, o meglio è colei che non ha rapporti sessuali con altri personaggi nel film, che mantiene una sorta di purezza virginale, ma non è detto che sia effettivamente una vergine.
È sicuramente in contrapposizione al personaggio della slut la ragazza facile che spesso è anche tra le prime vittime del killer (la sorella di Michael Myers, Pam di Non aprite quella porta) ed è la prima ad accorgersi che qualcosa non va, che c’è un reale pericolo nell’altrimenti mondo ordinario: è il caso di Laurie in Halloween che avverte la presenza sinistra di Michael e ne è immediatamente turbata.
La prima Final Girl è considerata Sally di Non aprite quella porta e per anni la sopravvivenza di questi personaggi era vista come una risoluzione femminista della vicenda, poiché la ragazza riesce a sconfiggere il mostro.
Tuttavia, le numerose violenze e sevizie a cui sono sottoposte, fa completamente rivoltare la situazione, perché per sopravvivere le nostre protagoniste si trovano a superare l’inferno, nel senso letterale del termine.
Queste violenze, in qualche modo, le aiutano a riconoscere il loro potere e il loro valore e a farle identificare come vere eroine, in grado di risolvere le situazioni che le autorità non erano state in grado di affrontare.
Nel corso degli anni il trope si è evoluto e modificato, tanto che oggi possono essere considerate delle Final Girls anche personaggi come Tomasine di The VVitch (2014)o Justine di Raw (2016), in cui l’elemento orrorifico e la violenza è portata avanti anche da loro stesse.