De Filippo: il “tragicomico del quotidiano” nell’opera completa edita Einaudi che raccoglie tutta la sua produzione letteraria/teatrale.
De Filippo. Scrivere di Eduardo e sulla sua produzione geniale è superfluo alla luce di quello che è l’immensa miniera di informazioni rappresentata dalla Fondazione De Filippo.
Un patrimonio culturale partenopeo e mondiale che è possibile consultare ovunque grazie al sito curatissimo e sempre aggiornato.
Vorrei per cui partire dalla mia esperienza personale che riguarda la lettura dell’opera completa edita Einaudi : “Cantata dei giorni dispari (primo, secondo e terzo volume) e “Cantata dei giorni pari”.
Una modalità diversa cioè di “consigliarne” la lettura ponendomi da “pari a pari” con il lettore di queste righe e “spero” con futuri lettori eduardiani.
Non sarà per cui una “recensione” quella che troverete in questo contributo. Non sarà neppure una “voce” che si unisce al coro dei plausi (se mai ce ne fosse bisogno) che omaggiano il fondamentale contributo di quest’ultimo al linguaggio artistico che è il Teatro.
Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male
Eduardo De Filippo
Esperienza di lettura: gli schiaffi ricevuti ed un monito da custodire
Il primo “schiaffo” che ho ricevuto da questa esperienza di lettura è stato l’essermi trovata di fronte il dialetto napoletano.
L’essermi cioè resa conto che io non conoscevo fino in fondo questa lingua a me così familiare eppure così sconosciuta. In particolare non avevo compreso l’enorme cambiamento tra quello che è il dialetto novecentesco napoletano e quello che attualmente parliamo e sentiamo nei vicoli della nostra città.
Se infatti le nuove generazioni di napoletani leggessero questi volumi riscontrerebbero la stessa difficoltà.
Nello specifico, si ritroverebbero a leggere e rileggere interi passaggi di dialoghi in quelli che di fatto costituiscono i “copioni” teatrali della commedia eduardiana.
Risulterebbe poi scontato ma doveroso ribadire che suddetti testi costituiscano in maniera geniale quello che è il romanzo eduardiano. Una prova di quello che è il lascito nel campo artistico più ampio del termine, non solo circoscritto alla Storia del Teatro.
Ed è anche per questo che ho adorato l’edizione della Einaudi, curata da Anna Barsotti.
Un lavoro che mette in luce e rende scorrevole e limpido il testo eduardiano. La struttura infatti presenta una introduzione brillante ed esaustiva della curatrice dei volumi. Alla introduzione seguono poi i vari testi delle commedie che vengono preceduti da nota storico-critica e la leggenda dei vari personaggi.
In questo modo qualsiasi lettore non si sentirà a disagio ne in difficoltà vista la complessità dell’opera di De Filippo.
Il secondo “schiaffo” è stato confrontarmi con un’altra verità: conoscevo poco e male le “commedie” di Eduardo ed Eduardo stesso.
Sono cresciuta con la “commedia napoletana”, con quel tratto tipico che contraddistingue i napoletani nel mondo: la teatralità.
Quella marcata caratteristica del “voler comunicare”, di avere l’esigenza, l’impulso primordiale del condividere visivamente una emozione, uno stato d’animo, una esperienza.
Il talento innato del “saper raccontare storie”. Dunque fin da piccola ascoltavo e vedevo storie. Racconti materni, paterni, storie che mi venivano inculcate fin da piccina da nonne e familiari.
In questo bagaglio infantile ci sono i ricordi che “parlano” anche di Eduardo, delle sue “commedie”. Memorie che sono poi costellate da altre grandissime personalità geniali: Scarpetta, Totò, Troisi, De Crescenzo (di cui mio padre è appassionato lettore e “fan”).
Mi ricordo in particolare le domeniche e i pranzi familiari con sottofondo le commedie tra le più disparate (un mio grande amore resterà sempre Vittorio De Sica ma questa è un’altra storia) ed a Natale immancabile era “vedere con la nonna” Natale in casa Cupiello.
Questo per tornare all’origine di quanto affermato prima. Conoscevo, prima di questa lettura, solo le più famose ed amate commedie della produzione di Eduardo De Filippo.
Prima di questa “immersione” non conoscevo ad esempio “Farmacia di turno”, “Quei figuri di trent’anni fa”. Non avevo mai amato così tanto le parole come successomi leggendo “La parte di Amleto” e “Il contratto”.
Non avevo di fatto mai associato il detto “nella vita gli esami non finiscono mai” che si sente sempre dire in giro nelle più disparate (ed in qualche caso disperate) occasioni. Un detto che ha radici nella commedia di Eduardo “Gli esami non finiscono mai” contenuto nel Volume terzo della “Cantata dei giorni dispari”.
l terzo ed ultimo “schiaffo” è stato rappresentato dal monito: se non conosci le tue radici non conosci davvero il tuo Io che è parte della pluralità.
Quella che è la riflessione personale scaturitami dalla lettura dell’opera completa di Eduardo De Filippo e che non potremmo mai essere persone centrate se non conosciamo l’ambiente da cui proveniamo.
Quel territorio entro cui ci muoviamo che non è solo fisico ma anche emotivo, intimo, legato al micro mondo familiare che pone le sue basi nella pluralità di modi di fare, tradizioni, educazione e valori che rendono l’Italia un posto vario pinto ed affascinante.
In particolare l’esperienza di trovarsi “faccia a faccia” con i testi eduardiani ha acuito il mio spirito critico.
Se prima, però, esso era contraddistinto da amarezza e pregiudizio nei confronti di Napoli e “dello stato delle cose”, ora esso è poggiato su una rinnovata consapevolezza.
Oltre che scoprire e riscoprire Eduardo, Napoli e ciò che contraddistingue lo spirito antico che permane nelle anime dei napoletani, ho scoperto anche altri testi.
Romanzi, saggi e una serie di documenti che mi hanno permesso di “avvicinare” quello che è il mito di Eduardo alla soglia dei terrestri.
L’esempio è la autobiografia “Una famiglia difficile” di Peppino De Filippo, fratello di Eduardo.
Per me ad oggi, Eduardo è e resta l’uomo appassionato che ha fatto del teatro il suo linguaggio, il suo respiro, l’essenza stessa del suo corpo che permane oltre il tempo, oltre lo spazio.
Un mito, che come i molti che costeggiano la Storia di Napoli, è pieno di contraddizioni.
Un uomo con le sue storture e brutture, “peccatucci” e scelte discutibili.
Un uomo che ancora oggi lo rendono il bambino Imperfetto che parla ad una umanità che corre inutilmente e stupidamente verso una ideale ed impossibile perfezione.
Conclusioni: tirare le fila di una esperienza di lettura che ti cambia prospettiva
La sintesi, di quello che mi auguro non sia stato uno sproloquio senza senso, è in una frase di Aleksandra Ekster (artista russa di enorme talento) “Se non conosciamo le nostre origini, è di noi stessi che siamo orfani, non dei nostri genitori”.
In queste poche righe, in questa frase così semplice e profonda insieme, ho compreso appieno quanto siamo in realtà così tremendamente ignoranti delle nostre radici.
Un bagaglio culturale che diamo per scontato. Acquisito attraverso “i racconti orali dei nostri nonni/e”. Appreso dagli echi della tv impostata sulle commedie di Totò, dei Fratelli De Filippo, di Scarpetta e Massimo Troisi dei pranzi domenicali in famiglia.
Siamo del resto troppo crudeli con noi stessi, guardiamo quanto di buono e bello hanno gli altri: paesi e culture differenti e lontane dalle nostre e, troppo spesso e con troppa leggerezza, lasciamo indietro le nostre origini, la nostra identità, la nostra Napoletanità.