di Maria Castaldo
Doctor Strange in the Multiverse of Madness. I Marvel Studios continuano la narrazione dedicata a Doctor Strange interpretato da Benedict Cumberbatch.
Diretto da Sam Raimi (Spider-Man, La Casa, Evil Dead), Doctor Strange nel Multiverso della Follia ci catapulta negli infiniti mondi esistenti oltre al nostro, dopo le brevi incursioni mostrate nella serie di Loki e il viaggio emozionante che ha portato Tobey Maguire, Andrew Garfield e Tom Holland a unire le forze in Spiderman – No way home.
I Marvel Studios proseguono lungo una (più che giusta) direzione e, come per Eternals e Chloé Zhao, lasciano che Raimi imprima la propria personalità nelle sequenze del film, regalando al pubblico un cinecomic dalle tinte orrorifiche, un autentico horror fatto e finito secondo molti, in cui l’atmosfera asfissiante e cupa si intreccia con l’immensità di un Multiverso di cui abbiamo solo iniziato a sfiorare i contorni.
Doctor Strange (Benedict Cumberbatch) è tormentato da sogni misteriosi, in cui una ragazza e uno stregone che ha le sue stesse sembianze scappano da un mostro orribile. Al matrimonio di Christine Palmer (Rachel McAdams), la donna di cui era (è?) innamorato, Strange scopre che quelli che credeva sogni, in realtà, erano aperture su universi simili al suo e che la ragazzina che vede nei suoi sogni è America Chavez (Xochitl Gomez) è una viaggiatrice del Multiverso, unica nel suo genere, i cui potere le permettono di spostarsi tra i mondi fisicamente.
Peccato che America non ne abbia il controllo e che a darle la caccia ci sia un’entità oscura, in grado di usare la magia e desiderosa di impossessarsi di essi.
A Strange, raggiunto dall’attuale Stregone Supremo e amico Wong (Benedict Wong), non resta che portare America al sicuro a Kamartage e chiedere aiuto alla più potente detentrice di magia della Terra: Wanda Maximoff, aka Scarlett Witch, ritiratasi in un luogo sconosciuto dopo gli eventi narrati in WandaVision e che l’hanno portata a impossessarsi delle menti di un’intera cittadina, inavvertitamente, e nascondere persino a sé stessa il profondo dolore che l’attanagliava. Ma Wanda potrebbe non essere l’aiuto che Stephen Strange stava cercando, quanto piuttosto il nemico da cui difendersi…
Affidare a Sam Raimi la direzione di Doctor Strange 2 ha permesso al regista di unire agli stilemi tipici di un film Marvel il suo tocco personale e, così, per una storia in cui magie, possessioni e incantesimi la fanno da padrone, Raimi impiega il suo arsenale e costruisce un horror gruesome e violento (per gli standard a cui siamo abituati se parliamo di Marvel e Disney), in cui tutti gli elementi della regia mirano a creare tensione e angoscia e servendosi di una partitura musicale cupa, che prende il gocciolio dell’acqua e il respiro affannato delle vittime, i tasti di un pianoforte e fa sì che, insieme, creino una melodia inquietante, preludio alla carneficina. E, non a caso, la musica è anche protagonista in una sequenza di combattimento tra le più interessanti e riuscite, anche a livello visivo.
Possessioni, esorcismi, necromanzia, un libro maledetto: Raimi mette molta carne al fuoco e crea un film angosciante, estraniante e ricco di vibes horror.
Doctor Strange nel Multiverso della Follia è un film che fa del Multiverso citato nel titolo un pretesto narrativo per esplorare il dolore, i sogni e le ossessioni dei suoi protagonisti.
Il Multiverso diventa non solo un luogo concreto, anzi, una sequenza di mondi dai toni, texture e colori più disparati – e di cui avremmo voluto qualche fotogramma in più – ma anche una finestra sugli infiniti noi, i nostri sé, le differenti versioni di noi che vivono dentro e al di fuori del nostro essere. È un portale che si spalanca (anche) sulle occasioni perdute, sui what if della vita, su quelle domande che a volte ci attanagliano e ci tengono svegle la notte.
Ed è una la domanda che sta alla base del film e che muove i fili della narrazione: “Tu sei felice?” e, soprattutto, cosa sei disposto a fare per ottenere/mantenere questa felicità? Siamo disposti a sacrificare tutto e tutti per averla, è la risposta onesta, ma scegliamo spesso di nasconderci dietro falsi sorrisi e risposte di circostanza, troppo spaventati per ammettere che faremmo di tutto per essere davvero felici. Questo vale per Strange, per America, per Wong, ma non per Wanda.
Alla strega più potente dell’Universo, Raimi affida il compito di smascherare l’ipocrisia degli altri protagonisti, ricordando che le regole vengono infrante continuamente e le giustificazioni per le azioni orribili che facciamo fioccano con grande rapidità…se si è eroi. Ma per le eroine? Wanda ricorda il dolore che ha causato con Westview, di cui ha cercato di fare ammenda ma che l’ha comunque bollata come villain. Dunque, per le eroine non c’è modo di essere felici e potenti al tempo stesso? Perché il film, purtroppo, sembra puntare in questa direzione: la Wanda di Raimi non è più la giovane donna che ha superato il suo lutto in WandaVision e ha promesso che si occuperà di studiare i suoi poteri, per poterli capire al meglio.
È una donna (ma anche e soprattutto una strega) che è devastata dalla perdita dei suoi figli ed è disposta a qualunque cosa pur di riaverli. La felicità di Wanda non è essere madre, ma riavere le uniche due persone ancora in vita che possono amarla; purtroppo il film insiste molto sulla dicotomia che si viene a creare tra la figura della madre e quella della strega, mostrando al pubblico da un lato le atrocità di Scalrett Witch e dall’altro le tenere scene di vita quotidiana tra Wanda e i suoi figli. Nel mezzo non sembra esserci spazio per nient’altro e sembra quasi che il percorso fatto in WandaVision sia stato completamente cancellato.
Secondo altre interpretazioni, invece, la storyline di Wanda trova compimento in questo film e WandaVision altro non è che la sua origin story in quanto villain e non eroina. Tuttavia, è indubbio che in Doctor Strange 2 Wanda risulta ridimensionata a creatura mostruosa, in grado di commettere qualsiasi atrocità, perché divenuta troppo potente e, secondo una logica patriarcale, incapace di gestire il suo potere senza impazzire. Wanda ha fatto uso del Darkhold ma non ne è posseduta, è una figura che è disposta a tutto pur di ottenere la sua felicità, anche sacrificare la vita di una ragazza innocente.
In tal senso lei è monstrum come venne definita Cleopatra da Orazio: una donna potente, la più potente del mondo che minaccia l’ordine costituito e che è strega perché c’è uno sguardo esterno che così la dipinge, senza possibilità di diversa lettura.
Da un lato questa rappresentazione orrorifica di Wanda funziona, perché Sam Raimi gioca, in maniera disturbante, con l’iconografia delle streghe, degli spiriti malvagi e ci mostra una Wanda zoppicante, ricoperta di sangue, simile a Carrie di Carrie – lo sguardo di Satana e lucida e spietata nel suo agire. In alcune sequenze, Wanda si contorce, suda, sanguina, diventa più umana e al contempo più ultraterrena che mai. Una gloriosa e inarrestabile villain.
Tuttavia, Raimi pone anche troppo l’accenno sulla maternità negata, riducendo il dolore e il trauma di Wanda ed è questo, forse, che più disturba.
La decisione finale, infine, sembra da un lato cozzare con il suo arco narrativo per come si è svolto nel film, dall’altro, invece, è una riaffermazione della sua capacità agente: Wanda si riprende il suo destino, riprende in mano le redini della sua storia e cambia di nuovo le scelte che altri sembravano aver stabilito per lei, dal trono che le avevano profetizzato, lei sceglie di renderlo una tomba.
E forse, è questo che proprio non accettiamo: Wanda diventa l’ennesima vittima dell’emotività “femminile” e il suo potere, troppo spaventoso e incontrollabile è il pretesto per eliminarla definitivamente.
In contrasto con Wanda, Raimi inserisce uno Stephen Strange lucido, meno manipolatore, ancora arrogante e al tempo stesso più fragile, umano.
Nel percorso attraverso gli Universi con America, i due diverranno mentore e allieva, ma anche alleati, tanto che sarà la fiducia di Strange nelle sue capacità a permettere ad America di affrontare le sue paure.
A sua volta, Strange deve imparare a non tenere più il coltello dalla parte del manico e a fidarsi dei suoi alleati e a chiedere aiuto quando necessario.
La sua crescita lo porta anche a sfiorare il lato oscuro e, anche per lui, questa scelta comporterà delle conseguenze.
Doctor Strange nel Multiverso della Follia ha un’identità ibrida e ben definita al tempo stesso, in cui elementi tecnici e una solida storia di base contribuiscono a renderlo un ottimo prodotto MCU per la Fase 4, in grado di sorprendere gli spettatori e le spettatrici, se sapranno lasciar da parte i loro pregiudizi, e a trasportarli in un Multiverso di possibilità tutte ancora da esplorare.