I FAMOSI SCONOSCIUTI: Ulay e Yoko Ono

famosi sconosciuti

di Matilde Maione

La Performance Art ha dato alla rappresentazione pubblica una connotazione diversa. L’ha resa unica, un unico atto in un dato momento. La replica non è che solo un’amara copia, l’originale è l’unico momento che crea l’artista. Vi sono performance famosissime che hanno scritto un capitolo importante della storia dell’arte e forse anche dell’uomo e vi sono artisti che sono diventati il simbolo di questa forma d’arte.

E poi ci sono loro, i più “famosi sconosciuti” tra gli artisti della performance art.  

Cosa si intende per famosi sconosciuti ?

Nomi che chiunque conosce, probabilmente non esiste persona che non abbia mai sentito parlare di loro. Solo che si “parla” di loro perché compagni di…

Frank Uwe Laysiepen (in arte Ulay) e Yoko Ono sono “famosi sconosciuti”.

Non è mai stata la notorietà il cruccio di questi artisti, non gli è mai importato di essere sulla bocca di tutti o su tutti i giornali e mai si sono nascosti alle spalle dei loro più famosi compagni d’arte e d’amore.

Sono artisti il cui unico intento è sempre stato quello di condividere la propria arte e portare alla riflessione il loro pubblico.

Ulay, era solito definirsi: “Il più celebre artista sconosciuto”.

Il giorno della sua morte non vi è stata una sola notizia in cui il suo nome non fosse riportato in associazione alla sua storica ex-compagna. Come se la sua identità non esistesse senza l’altra.

C’è da fare una riflessione però, quando la storia viene scritta, sono i loro protagonisti, insieme, che le danno vita. Senza Marina Abramovic, Ulay non sarebbe stato l’artista che conosciamo oggi e, viceversa, l’Abramovic non sarebbe l’artista che conosciamo, senza Ulay.

Frank Uwe Laysiepen, Ulay (Fonte: huffingtonpost.it)

Prima di conoscere Marina, Ulay ha vissuto nella conflittualità delle sue origini tedesche arrivando a rinnegare anche il proprio nome.

Alla fine degli anni sessanta si traferisce ad Amsterdam, per ricominciare da zero. Si iscrive alla “Kölner Werkschulen” di Colonia che abbandonerà presto per avvicinarsi alla fotografia analogica e alla Polaroid.

Da qui inizia tutto. Da qui parte la storia dell’ARTISTA che è Ulay. Il primo approccio è quello di documentare. Molti artisti, infatti, si avvicinano alla fotografia artistica partendo così, dallo sperimentare, per imparare a guardare e, solo dopo, interpretare.

 Nasce la serie “Renais Sense” (’74), fotografie che ritraggono il volto l’artista per metà truccato da donna. In questo progetto artistico egli esplora ed individua, nello scardinamento degli stereotipi, quel processo di costruzione di identità multiple.

 La Polaroid è lo strumento che registra le sue esibizioni catturando ogni singola mossa, testimoniando il raggiungimento della sua consapevole androginia.

 “S’he” dalla serie “Renais Sense”, 1974 (Fonte: artsy.net e dazeddigital.com)

Nel ’76 è ancora utilizzando la fotografia che Ulay prosegue la sua ricerca del confronto, questa volta però, vi è la partecipazione dello spettatore che si concede all’obiettivo, la cui figura ibridata a quella d’artista stesso crea una dimensione diversa in cui i corpi e gli animi (dello spettatore e dell’artista) si uniscono cancellandone le diversità e l’identità fissa.

Ma il suo debutto alla totale performance senza l’uso della macchina fotografica per immortalare il momento avviene nel ’76 con “There is a Criminal Touch to Art”.

L’artista ruba dalla Neue Nationalgalerie di Berlino quello che si diceva essere il dipinto preferito di Adolf Hitler, “Der Arme Poet” di Carl Spitzweg, portandolo a casa di una famiglia di immigrati turchi in un quartiere povero della città.

La performance terminava con la telefonata di Ulay al direttore del museo perché andasse a recuperare l’opera trafugata presso la famiglia, il tutto sotto lo sguardo di una telecamera che riprendeva le reazioni dei partecipanti. Quest’atto vuole così sottolineare la conflittualità che l’artista ha con la propria origine tedesca e allo stesso tempo vuole puntare l’attenzione verso le problematiche delle minoranze nella società tedesca del dopoguerra.

Da qui, per dodici anni il consolidamento artistico e personale con l’artista Marina Abramovic, porterà alla notorietà entrambi. Creeranno performance che sono entrate nella storia e mai potranno essere pronunciati i loro nomi separatamente quando si parla di questo loro congiunto arco di vita.

Dopo la separazione Ulay torna alla fotografia, quasi a voler ritrovare il vecchio sé stesso che ha lasciato in sospeso per dodici anni. In realtà nulla era assopito, torna a sperimentare con il suo primo strumento, l’oggetto che ha dato i natali alla sua vena artistica, ma è diverso, è una persona sì sempre uguale, ma cresciuta.

Ulay, Portrait, Photo Primož Korošec, 2016

L’oggetto delle sue sperimentazioni rimane il corpo, le dimensioni delle foto si fanno monumentali e l’artista è sfocato, tagliato, contrapposto e sovrapposto, ma è sempre lì, come oggetto del suo essere.

Ulay ha fatto della sua vita una gigantesca performance nella quale egli è l’unico protagonista, ma che rispecchia in sé, tutti gli altri.

Da un “famoso compagno” ad una “famosa compagna”.

Chi non ha mai sentito parlare di Yoko Ono?

Escludendo i bambini, possiamo affermare che la maggior parte delle persone su questa terra avrà sentito almeno una volta nella propria vita nominare quest’artista e forse sempre come “la moglie di John Lennon”.

YOKO ONO – Matthew Placek, Yoko Kitchen (Fonte: yokoonowarzone.com)

Sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale in un Giappone devastato dai bombardamenti, patendo la fame e conoscendo la paura, Yoko Ono è l’artista forte e determinata che ha dimostrato di essere, con la sua arte e la sua musica.

Mai è vissuta all’ombra del frontman dei The Beatles. Il suo lavoro è stato fondamentale per la storia dell’arte e per la musica. L’attenzione per il sociale è un punto fondamentale della sua ricerca ed è sempre stata attenta alle disuguaglianze, in particolare a quelle di genere.

Yoko Ono è stata tra i primi artisti ad esplorare l’arte concettuale e la performance art.

Fu tra i primi membri di “Fluxus”, un’associazione libera di artisti d’avanguardia, che si sviluppò all’inizio degli anni Sessanta, conosciuti per aver mescolato diversi media e diverse discipline artistiche.

Una delle sue più famose performance è “Cut Piece” (1964), riproposta anche in tempi recenti (2003), durante la quale l’artista seduta al centro di una sala della Carnegie Recital Hall di New York, permette agli spettatori di tagliare a brandelli i propri vestiti. Qualcuno ritaglia piccoli pezzi dalla manica, qualcun altro, più deciso fa, tagli più grandi, percorre tutto l’abito, straccia le bretelline della sottoveste e quelle del reggiseno.

L’artista incrocia le braccia per coprirsi il seno ed il suo sguardo è imbarazzato. Sui suoi vestiti tagliuzzati si è scagliata tutta una carica di desiderio che per abitudine viene rimossa quando ci si confronta con una persona nel momento in cui è più fragile. Una provocazione che porta alla riflessione sulla libertà di mostrare il proprio corpo.

Siamo davvero noi che decidiamo quando, come e a chi mostrare il nostro corpo? Oppure è un’imposizione silenziosa da parte di chi non ha più nemmeno bisogno di usare una forbice per farlo?

Yoko Ono performing “Cut Piece”, 1964 (Fonte: moma.or, artsy.net) 

Lo stesso “Ben-In”, in collaborazione con Lennon, è una performance a tutti gli effetti. Performance/protesta non violenta contro la guerra e per promuovere la pace mondiale.

 Il termine è un’ironica storpiatura del termine popolare inglese “Sit-in” (usato per le proteste). Avvenuta ad Amsterdam e, replicata a Montréal, nel 1969, iniziò celebrando la loro luna di miele nella suite presidenziale dell’Amsterdam Hilton Hotel tra il 25 e il 31 marzo, dando libero accesso alla stampa nella loro camera da letto tutti i giorni dalle nove di mattina alle nove di sera.

Arrivarono a Montréal il 26 maggio e presero alloggio in una stanza del Queen Elizabeth Hotel. Nel corso della loro permanenza durata sette giorni invitarono nella loro stanza amici e conoscenti alla registrazione del brano “Give Peace a Chance”, registrato nella camera d’albergo il primo giugno.

Più volte è stato tentato di denigrare e sminuire il lavoro artistico di Yoko Ono, costruendo il suo personaggio all’ombra di quello di Lennon, ma l’artista giapponese con la sua forte temperanza non ha mai permesso che tali voci ed insinuazioni fossero per lei motivo di abbandono della sua carriera artistica e soprattutto delle sue lotte pacifiste a favore delle persone.

Yoko Ono ed Ulay sono stati e saranno artisti straordinari e famosissimi, che hanno contribuito con la loro originalità, sperimentazione, intelligenza ed una forte dose di coraggio, a permettere di guardare con occhi diversi la performance art, portando lo spettatore a riflettere su sé stesso e sul mondo.

Umili guerrieri pacifisti in un mondo di guerrieri spietati che della violenza hanno fatto il loro araldo, loro sono stati i veri big capaci di arrivare al cuore delle persone senza troppi atti epocali e teatrali.

Nella loro semplicità hanno dimostrato al mondo i valori dell’essere umano e cosa vuol dire essere artisti in un’epoca di “approssimatori”.

Fonti ed approfondimenti:

ilmanifesto.it, repubblica.it, ultimavoce.it, notiziemusica.it, artuu.it, artsy.net) 

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