di Giancarlo Di Stadio
Che cos’è il blind-casting, perché esso è di fatto un “cane che si morde la coda” e perché provoca una reazione esattamente contraria all’intenzione per cui nasce.
Le piramidi sono state costruite da schiavi; la caccia alle streghe avvenne nel Medioevo, riguardò la Chiesa Cattolica e fu diretta solo contro le donne; Hitler si rifiutò di stringere la mano a Jesse Owens; Maria Antonietta pronunciò la celebre frase: “Se non hanno il pane dategli le brioche”.
Cosa hanno in comune queste cose? Che sono semplicemente dei falsi storici.
Le piramidi furono costruite da operai regolarmente salariati, la caccia alle streghe fu un fenomeno dell’età moderna che colpì maggiormente l’Europa protestante e fu diretta anche contro gli uomini, Hitler non si rifiutò mai di stringere la mano ad Owens e la celebre frase sulle brioche fu presa da un personaggio di un libro di Rousseau.
Questa è solo una breve lista alla quale possiamo aggiungere cose come: il pollice verso dei gladiatori (i cui combattimenti quasi mai si concludevano con la morte), la Bastiglia che non era un carcere politico, la Donazione di Costantino, la cintura di castità, ecc…
Perché questo preambolo? Perché, prima di addentrarci nel discorso del blind-casting è importante smontare la prima affermazione “a difesa” del blind-casting: “Sono libri/film/serie tv, la gente mica ci crede!”
E invece ci crede, perché spesso sono le opere letterarie, cinematografiche, televisive, che forgiano l’immaginario collettivo.
Se nell’800 un collezionista inglese non avesse, per attirare pubblico nel suo museo privato, spacciato oggetti creati ex-novo per reperti medievali, oggi forse non avremmo la convinzione che i crociati, prima di partire, mettevano alle loro “pulzelle” la cintura di castità.
Chiariamo, perché è importante prima di approfondire il discorso sul blind-casting, che le opere di finzione forgiano l’immaginario collettivo.
Sia quello verso il presente che quello verso il passato. Non tutti, anche giustamente, hanno il tempo e la voglia di documentarsi e leggersi fonti scritte del periodo. E quindi, spesso, l’unico filtro per approcciarsi al passato è quello con le lenti del presente.
Entriamo ora nel merito: cos’è il bling-casting? Il blind-casting è quella tendenza a formare cast di film e serie tv (ma potremmo dire anche creare personaggi di un libro/videogioco) senza tenere conto di fattori etnici, sessuali, di genere.
In parole povere, piazzare, ad esempio, neri nella Scandinavia del IX sec.
Tale pratica, da sempre esistita nel mondo delle arti e bi-direzionale (basti pensare a Liz Taylor che interpreta Cleopatra o ai romanzi ispirati ad un personaggio uomo o donna che nel romanzo cambia sesso), ha avuto negli ultimi anni un’esplosione.
In concomitanza con le battaglie per il politicamente corretto tanto di moda dall’altra parte dell’oceano.
La deriva “woke” di Hollywood ha fatto si che il blind-casting iniziasse ad essere percepito come un fatto più politico che artistico.
Da un lato i liberal, ansiosi di mostrarsi “buoni e inclusivi”, dall’altro i conservatori, ansiosi di mostrarsi “puri e portatori della vera storia americana”.
Il tutto, logicamente come sempre negli USA, paravento per un discorso di marketing e incassi.
La pratica del blind-casting ha finito così per intrecciarsi con quella del race-bending o del gender-bendig, ossia il cambio arbitrario di razza/sesso/genere negli adattamenti. Quasi sempre con il fine, poco nobile, di aumentare il target e gli incassi.
Fine che, a dire il vero, quasi mai è stato raggiunto, tanto che negli USA ormai è popolare il detto “get woke, go broke”.
Prendiamo il caso delle ultime settimane: Bridgerton.
La serie (un harmony ambientato nell’Inghilterra dell’inizio ‘800 la cui trama può essere ridotta a “che bello il culo del duca!”), ha messo in scena una lunga serie di anacronismi, tanto che tale serie può essere considerata più vicina ad un’opera totalmente di fantasia o ad una linea temporale alternativa, piuttosto che ad una ricostruzione storica.
La cosa che spicca di più è la presenza nella nobiltà dell’Inghilterra di inizio ‘800 di persone nere.
Addirittura la regina d’Inghilterra, che nella realtà storica era tedesca, viene interpretata da un’attrice mulatta.
Come detto, prendendo la serie per una linea temporale alternativa, non ci sarebbe nemmeno nulla di male. Certamente, conoscendo Netflix e sapendo quale è il suo target maggioritario, tale scelta è stata fatta per mostrare a suddetto target una patina di “open-minded”, per apparire così, nel più classico caso di woke capitalism, bravi, belli, ecc…
Il problema però sorge nel momento in cui, data la comprensibile polemica montata dai “puristi” della storia, è iniziata un’arrampicata sugli specchi per giustificare tale “meticcio”.
Alcuni giornali di area liberal sono addirittura arrivati a spulciare l’ascendenza della regina, trovando una bis-bis nonna maghrebina. Per loro tanto bastava per giustificare l’accuratezza storica di tale scelta.
Chiariamo ulteriormente. Il problema non è inserire neri centurioni romani sub-sahariani, fare Achille nero, o il consigliere della Regina di Scozia africano. Il problema è spacciare tale cosa come : “E che fa?” o, peggio ancora, come “storicamente accurato”.
Perché tale scelta, fatta solamente per logiche di mercato e di woke capitalism, porta a due grossi problemi: il primo di natura scenica, il secondo di natura storico-politica.
Ed entrambi sono naturalmente collegati.
L’inserimento di “quote” anacronistiche, unito all’inserimento di tematiche anch’esse anacronistiche, annulla da un lato l’immersività, dall’altro la stessa esistenza di quelle tematiche.
Se, per esempio, in una serie ambientata nell’Europa del ‘500, si decide di inserire personaggi femminili di potere nell’accezione moderna e poi si imbottisce tale serie di tematiche femministe si crea semplicemente un cortocircuito logico.
Idem se si inserisce un nero come consigliere del Re e poi si “infilano a forza” tematiche anti-razziste o da BLM.
Perché mettere in scena una serie con tematiche incentrate sulla lotta al razzismo se nel mondo anacronistico disegnato tale razzismo non c’è perché un nero può diventare tranquillamente consigliere del Re?.
L’antirazzismo, il femminismo, i diritti dei gay nascono perché sono evoluzione di un pensiero che si è formato anche grazie alle specificità e ai contrasti di determinate epoche.
Annullando queste specificità e questi contrasti si annulla anche il processo per il quale sono nate quelle tematiche.
Sempre tenendo conto che spesso tali tematiche (pensiamo alle istanze femministe moderne), in quei contesti non solo non esistevano, ma non erano nemmeno nei più lontani pensieri della gente dell’epoca.
Tutto ciò ha la pretesa, ricordiamo sempre per fini sia commerciali che politici, di ridurre il tutto ad un eterno presente.
Lo spacciare l’omosessualità greca (che era più simile alla pedofilia) uguale all’omosessualità moderna, il multi-etnicismo romano (impregnato di razzismo e nazionalismo) con il multi-etnicismo moderno (impregnato di formalismo e classismo) non solo è sbagliato, ma porta a far credere che la “lente” con cui guardiamo il mondo oggi sia sempre esistita.
Ma la nostra “lente”, il nostro sistema di valori, i nostri dogmi non sono sempre esistiti. Sono frutto di un’evoluzione. Il presente è figlio del passato, non il contrario.
Senza dimenticare che il nostro sistema di valori, quello liberal-occidentale, non è né il migliore né l’unico al mondo.
Far credere che nella Cina del III a.C. gli uomini pensassero e agissero come noi è pericoloso. Perché da un lato nega la specificità dell’epoca e del luogo (che ha consentito, attraverso i suoi pregi e i suoi difetti, un’evoluzione del pensiero umano che ci ha portato al pensiero di oggi), dall’altro instilla l’idea che il sistema valoriale liberal-capitalista sia l’unico che sia mai esistito.
Ovunque e in ogni epoca. E per questo eterno, giusto ed immutabile.
Vivere un eterno presente, addolcire i contrasti del passato, ripulendolo dai punti “scomodi” (per il pensiero liberal-capitalismo) come ad esempio la lotta di classe e portando tali contrasti su di un contesto formale e non sostanziale (le donne dell’800 che parlano di mansplanning quando all’epoca la loro lotta era non contro gli uomini ma con gli uomini: per avere diritto di voto, salari decenti, non sfruttamento sul lavoro, ecc…), è il modo migliore per negare l’esistenza di tali “punti scomodi” anche nel presente.