di Nunzia La Montagna
Un viaggio per trasportare l’intera umanità dallo stato di miseria alla felicità.
La Divina Commedia di Dante è l’opera italiana più conosciuta nel mondo e più studiata nel mondo.
In realtà, alla sua composizione, l’opera era intitolata Commedia; questo perché, secondo l’autore, il suo poema appartiene al genere comico: in primo luogo per il contenuto, poiché prende avvio dall’orribile situazione del peccato per concludersi felicemente con la salvezza; in secondo luogo per ragioni stilistiche, poiché è scritto in un linguaggio che include espressioni basse e volgari anche se sa elevarsi (soprattutto nel Paradiso) a livelli sublimi.
È stato lo scrittore Giovanni Boccaccio a definire per la prima volta la Commedia con l’aggettivo “divina”.
Successivamente l’abbinamento Divina Commedia viene usato da Ludovico Dolce per riferirsi all’inarrivabile perfezione dell’opera e al suo contenuto, centrato su argomenti ultraterreni e quindi divini.
L’opera non rappresenta soltanto la descrizione della condizione delle anime dopo la morte ma anche la storia del cammino di un peccatore verso la salvezza, il cui ultimo scopo è proporre un modello di riscatto morale e spirituale valido per l’intera umanità.
Il viaggio diventa così una grandiosa rappresentazione allegorica della condizione umana e della realtà ultraterrena.
Dante, con la sua Commedia, è perennemente vivo, potente, contemporaneo e forse il nostro tempo, pur così carico di contraddizioni, è il tempo opportuno per “ri-scoprire” Dante.
Viverne tutte le straordinarie potenzialità poetiche ed interiori, per ascoltare i consigli di un immenso poeta che affronta i propri vizi e le proprie debolezze attraverso la potenza d’animo che si cela, poi, dentro ognuno di noi.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
che la diritta via era smarrita”
L’esperienza di Dante smarrito nella selva è l’esperienza che può vivere ogni persona alla ricerca di un senso della propria vita.
Quello che Dante vive a trentacinque anni è ciò che vivono tutti i mortali, e il suo smarrimento è lo stesso che coglie ciascuno che non abbia ancora ritrovato la giusta via.
Fin dal primo verso Dante associa a se stesso l’umanità tutta, del suo tempo e di ogni età.
Per vivere questo momento non è necessario essere cristiani: la crisi spirituale della “mezza età” è propria di chiunque si interroghi sulla propria vita (in epoca dantesca l’età media di vita era di gran lunga inferiore a quella odierna e che la mezza età corrispondeva grosso modo ai trentacinque).
Basterà guardarsi dentro, per l’appunto a metà della propria vita, e chiedersi perché si è finora vissuti, cosa ancora ci si attende o dove indirizziamo il nostro passo, per avvertire una crisi analoga a quella che Dante ha tradotto nel suo poema.
Basterà che ciascun individuo si ponga a interpretare se stesso e la vita per sentire lo sgomento di Dante e cercare ansiosamente una via, una direzione, un riscatto.