di Giancarlo Di Stadio
North Korea Best Korea. Quando in Occidente parliamo di Corea del Nord sorge sempre la necessità di prendere tutto con le pinze.
North Korea Best Korea. I nostri “rapporti” con il paese del Caro Leader sono all’insegna dell’inscrutabilità e della reciproca diffidenza.
Con cadenza più o meno regolare veniamo incuriositi da notizie che, se utilizziamo un occhio critico, difficilmente riusciamo a capire se sono vere o esagerazioni totalmente false.
Lo zio del Caro Leader sbranato dai cani, l’ex fidanzata fatta uccidere con un missile della contraerea (!), cittadini giustiziati perché sbadigliano ai discorsi pubblici o per tagli di capelli troppo occidentali.
Tutte notizie strombazzate, senza verifica delle fonti, dai media occidentali. Salvo poi, nella stragrande maggioranza dei casi, rivelatesi semplici scopiazzatura da giornali satirici sudcoreani.
Recentemente, e la cosa calza a pennello per questo articolo, i media occidentali si sono affrettati a riportare l’ultima bizzarria tragicomica di Kim Jong-Un: pena di morte per chi veste all’occidentale e soprattutto per chi è colto a consumare prodotti mediatici occidentali.
Una notizia che, per quanto esagerata, potrebbe benissimo essere vera.
Oppure, come in moltissimi precedenti casi, una scopiazzatura senza fonte o una semplice notizia ingigantita per i più disparati motivi.
Per questo, anche quando si parla di arte e cultura nordcoreana, è necessario sempre avere una buona base di “beneficio del dubbio”.
L’impenetrabilità della Corea del Nord, e il suo “complicato” rapporto con i media internazionali, rende la sua produzione artistica e culturale decisamente enigmatica, facendo giungere a noi occidentali solo una minima parte di ciò che è prodotto in patria e soprattutto per la patria.
Quel “per” è molto importante, in quanto la premessa del discorso è che la Corea del Nord è un paese estremamente autarchico dal punto di vista culturale.
Le commistioni con le arti di altri paesi, se escludiamo la Cina e limitatamente oggi la Russa, sono minime se non inesistenti.
Una premessa doverosa per capire meglio l’intero discorso.
Partiamo da una massima di Lenin, che è un po’ il motore dell’arte nordcoreana: “Il cinema è la più importante delle arti”.
La frase del celebre rivoluzionario russo è stata fatta propria dall’establishment nordcoreano, il quale naturalmente ha adattato tale frase allo Junche, la complessa e particolare ideologia, misto tra socialismo reale, autarchia e tradizione coreana, che domina la politica nordcoreana.
Ciò non significa che gli interi sforzi nordcoreani sono concentrati solo sul cinema, anzi.
Ma parecchie attenzioni sono state date alla “settima arte”, portando anche ad un sorprendente e inaspettato discreto livello qualitativo in alcune seppur rare, pellicole.
A dispetto di ciò che comunemente si potrebbe pensare.
Naturalmente la produzione cinematografica (e non solo) della Corea del Nord è immancabilmente costellata di storie vere e verosimili degne delle migliori spy story.
Come quella che c’è dietro la realizzazione del film Pulgasari (1978), una sorta di Godzilla in salsa coreana.
Per realizzare tale film il Caro Leader della Corea del Nord arrivò persino a rapire il regista sudcoreano Shing Sang-ok, il quale, nei suoi dieci anni di “prigionia” in Corea del Nord, fu costretto a realizzare ben 7 film.
Oltre al danno Shing Sang-ok ebbe anche la beffa, in quanto in Corea del Sud, all’epoca oppressa da una feroce dittatura militare di destra, non credettero al rapimento, ipotizzando una sua fuga nel campo nemico (i due paesi sono ufficialmente ancora in guerra, ndr).
Per questo la sua casa di produzione fu chiusa dai militari e fu gettata su di lui una damnatio memoriae che continuò anche dopo la rocambolesca fuga del regista e della moglie a Vienna.
Solo nel ‘94, quando la morsa del regime militare sudcoreano,
persi gli USA l’interesse a foraggiarlo, cadde, Shing Sang-ok potè ritornare in patria ricevendo finalmente premi e onori dal nuovo governo democratico.
Rapimento a parte, gli anni ‘70 furono per il cinema nordcoreano furono un periodo di grande cambiamento.
Si abbandona, anche se non totalmente, la cinematografia prettamente di guerra e c’è una riscoperta di trame e situazioni legate alla cultura e alla tradizione coreana (naturalmente sempre declinate secondo il Junche).
In questo periodo i film nordcoreani iniziarono anche ad essere distribuiti sul mercato estero, riscontrando anche un discreto successo nei paesi del blocco comunista.
Come The Flower Girls (per comodità utilizziamo il titolo internazionale o, se possibile, italiano) che divenne un vero e proprio fenomeno cult.
Cina
La stretta del governo non rinunciò però alla propaganda anti-occidentale.
In Eroi senza nomi, film di spionaggio diventato anch’esso un piccolo cult, uno dei ruoli principali è riservato a Charles Robert Jenking, disertore americano della Guerra di Corea che a quanto pare, divenuto un vero e proprio divo cinematografico nella sua nuova patria, ha trovato nei pressi di Pyongyang la sua Hollywood.
Con l’inizio del nuovo millennio, e soprattutto con la salita al potere di Kim Jong-un, il cinema nordocoreano tenta di modernizzarsi.
Prima però di addentrarci nell’ultimo periodo del cinema nordcoreano è necessario fare una panoramica generale delle altre arti.
Scultura e architettura, ricostruite sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale e della Guerra di Corea, riprendono i caratteri del razionalismo socialista sovietico.
In questa prima fase, indicativamente fino alla caduta dell’URSS, il paese risente molto delle influenze russe. Salvo poi, caduto il comunismo in Russia, finire sotto l’influenza, anche artistica, cinese.
Una particolare arte, molto apprezzata dai collezionisti occidentali, è quella dei manifesti propagandistici e sportivi che, soprattutto durante la Guerra Fredda, raggiungono vette qualitative non indifferenti.
Altro campo importante, che ci permette di ricollegarci al cinema e quindi di trattare l’ultimo periodo dell’arte nordcoreana, è l’animazione.
Storicamente essa è stata meno sotto la lente d’ingrandimento della politica, avendo quindi potuto sviluppare un relativo grado di autonomia, sia nella forma che nel contenuto.
La scuola di animazione coreana, che in patria riprende i temi della storia e dei miti coreani, e che è soprattutto considerata un’arte pienamente adulta, è molto apprezzata anche all’estero per via la sua professionalità.
Diverse produzioni occidentali, tra cui l’italiana Adrian, si sono serviti di animatori nordcoreani.
Anche gli Stati Uniti, attratti soprattutto dal bassissimo costo del lavoro, hanno spesso fatto affidamento, attraverso loro Major o attraverso case di produzione “satellite” sudcoreane, su animatori nordcoreani per le loro produzioni animate.
La SEK, lo studio di animazione nordocreano, produce infatti solo per il mercato domestico ben 40 film d’animazione l’anno.
Oltre appunto a svariate produzioni su commissione da parte di case di produzione estere.
Infine nel 2005, nell’ambito di un più generale processo distensivo tra le due Coree, è stata proprio l’animazione è partorire la prima vera co-produzione nord-sudcoreana Wanghu Sim Cheong, a cui a fatto seguito la serie animata in CGI Lazy Cat Dinga.
Insomma, al netto delle ingerenze della politica nell’arte, la Corea del Nord è, al momento, tutt’altro che un paese artisticamente “sottosviluppato” (se mai fosse possibile definire una qualsiasi arte “sottosviluppata”).
Certo a livello di trame e contenuti essi sono pesantemente influenzati dallo Junche e i contatti pressoché inesistenti con il mondo occidentale fanno di quello nordcoreano un ecosistema artistico estremamente chiuso, impenetrabile e poco propenso a rinnovarsi.
Ci sono però ampi margini di crescita artistica.
Le co-produzioni coreane e soprattutto i lavori, seppur dettati da logiche di abbattimento dei costi, svolti per major occidentali fanno si che la Corea del Nord stia iniziando, almeno dal punto di vista artistico, quantomeno a “scoprire” il mondo.
Difficile comunque che queste cose nel breve termine, vuoi la storica “gelosia” asiatica per la propria cultura, vuoi un regime politico che si sente, a torto o ragione, sotto attacco dall’Occidente e per questo con cadenza regolare elimina periodicamente le seppur blande concessioni di apertura, possano di colpo far entrare la Corea del Nord, al pari dei fratelli del Sud, nel mondo globalizzato dell’arte moderna.
Probabile che i timidi processi di apertura, come le co-produzione con i sudcoreani, possano essere l’inizio di un periodo più lungo di aperture via via maggiori.
Oppure magari la vicinanza con la Cina coinvolgerà la piccola Corea del Nord nell’assalto del Dragone Rosso al mondo artistico e culturale. Chi sa…