di Annarita Farias
Omosessualità e gravidanza poetica: come l’amore per un uomo crea poesia
Non è un segreto che l’omosessualità è un tema che ha da sempre suscitato scandalo e controversie, soprattutto quando contestualizzato nell’ambito artistico, cinematografico o letterario. Dell’omosessualità se ne potrebbe parlare per secoli e secoli, così come di fatto è accaduto: per esempio, concentrandoci solo sull’ambito letterario, si potrebbe parlare dell’antica poetica omoerotica greca e romana fino ad arrivare alla letteratura ottocentesca e novecentesca con autori come Melville, Rimbaud, Verlaine, Wilde, Gide, Proust e Lorca. Sono questi e tanti altri ancora gli scrittori omosessuali che hanno partecipato alla creazione dell’immenso e affascinante patrimonio letterario che oggi l’Occidente vanta. Dunque è giusto chiedersi: c’è davvero da scandalizzarsi quando si parla di omosessualità?
La gravidanza poetica
Nell’Antica Grecia il simposio – ossia il banchetto – era un’occasione fondamentale per la vita sociale delle polis, un punto di incontro per tutti i grandi filosofi e politici. Tra tanto cibo, vino e chiacchiere, spesso capitava che i simposiasti intrecciassero relazioni amorose, soprattutto di carattere pederastico (cioè tra maestro e giovane amante). Uno dei primi autori a “legittimare” in qualche modo l’amore tra due uomini fu il noto filosofo greco Platone nella sua opera intitolata, appunto, Simposio: «Nel Simposio di Platone, dialogo dedicato alla discussione di eros, il personaggio di Socrate, attraverso la voce ispirata della sacerdotessa Diotima, distingue due tipi di amore: l’eros tra uomo e donna, generatore di una “gravidanza nel corpo”, e l’eros tra due uomini, generatore di una “gravidanza spirituale” o “nell’anima”. È a tale secondo tipo di gravidanza che Diotima attribuisce la genesi delle opere più grandi e immortali dell’umanità in ambito poetico, politico e filosofico.» È quindi con il Simposio – scritto intorno agli anni 80 e 70 del IV sec. a.C. – che Platone espose ciò che è stato definito il modello dell’eros platonico, modello che ammise il legame omoaffettivo come rappresentazione dello stretto rapporto tra eros e creazione artistico-poetica. Platone creò questo modello partendo da una semplice ma per nulla banale riflessione:
«Pur nella molteplicità delle sue forme correnti, l’omofobia si basa essenzialmente su di un punto principale: il carattere non-riproduttivo – e, quindi, la non-utilità biologica – dell’atto sessuale tra due persone dello stesso sesso. La domanda più o meno esplicita, sottesa a vari tipi di discorso omofobico, è su per giù la seguente: Se la sessualità ha come fine ultimo la riproduzione della specie, e se la riproduzione della specie è prerogativa dell’amore tra uomo e donna, a cosa serve l’omosessualità?»
È da secoli che chi si oppone all’omoerotismo giustifica la sua posizione di estremo dissenso sostenendo che l’amore tra due persone dello stesso sesso è “contro natura” e – probabilmente – neppure l’epoca di Platone fu priva di tali discriminazioni. Censurando l’aspetto sessuale del rapporto, così, Platone teorizzò ciò che definì “gravidanza poetica”: così come l’amore tra uomo e donna è utile per generare nuovi individui e rendere quindi possibile la continuità della specie; allo stesso modo l’amore tra due uomini è utile per generare tutte quelle grandi opere intellettuali che rendono possibile l’evoluzione culturale e filosofica.
Shakespeare e il fair youth
Secoli dopo Platone, Shakespeare aggiunse una nuova testimonianza letteraria al modello d’amore platonico e lo fa, precisamente, con i suoi Sonetti, stampati per la prima volta nel 1609. La raccolta dei sonetti è composta da 154 componimenti divisi canonicamente in due macrosequenze: una prima sequenza dedicata al Fair Youth, ossia al ragazzo amato; ed una seconda sequenza dedicata alla Dark Lady. Shakespeare, dunque, dedica ben 126 sonetti, tanto romantici quanto tormentati, ad un giovane dalla bellezza sublime, chiedendogli di mettere quest’ultima a disposizione del mondo. Ed è proprio questo amore, dedicato ad un uomo, ad essere lodato perché unico vero e puro sentimento creatore di arte e poesia.
«Gli stessi protagonisti della storia, nelle loro caratteristiche più generali, rinviano alla “tipica” coppia platonica, costituita da un uomo adulto e un giovane fanciullo. […] Così come accade nel modello platonico, la differenza d’età si traduce in una differenza di ruoli all’interno della relazione: se in Platone l’uomo maturo funge da amante mentre il giovane è colui che viene amato, analogamente nei Sonnets è il maturo poeta a manifestare il proprio sentimento amoroso mentre il fair youth si limita a fungere da oggetto d’amore. Si tratta di un baratto affettivo: il poeta gode dell’acerba bellezza del suo amico, mentre il fair youth trae vantaggio dalla superiore saggezza ed esperienza del suo maturo amante.»
Oscar Wilde e l’amore per Dorian Gray
Così come Shakespeare tenta di rendere immortale la bellezza del giovane attraverso la sua opera poetica, allo stesso modo il pittore Basil Hallward tenta di farlo – riuscendoci – con l’immensa bellezza del giovane Dorian Gray attraverso la sua opera artistica. Il ritratto di Dorian Gray, pubblicato nel 1890, è un secondo esempio di testimonianza letteraria del modello d’amore platonico.
«La stessa storia di una liaison artistico-affettiva tra un giovane bello, ma ancora inesperto del mondo, e un artista che, plasmandolo, ne trae al contempo ispirazione è riconducibile, pur con tutte le novità apportate dall’estro wildiano, al medesimo modello erotico-simposiastico.»
Il rapporto raccontato da Wilde, però, non è quello romantico di cui parla Shakespeare e Platone, qui non c’è un baratto affettivo: Basil ama davvero Dorian, tanto da non poter fare a meno di rivolgere tutte le sue lodi, attenzioni e senso di protezione al giovane, tanto da non poter fare altro che dargli tutto ciò che vuole; ma a Dorian non interessa davvero. Dorian non ama altro che se stesso.
Il successo di quest’opera di Wilde coincise con un periodo di forte crisi della vita dell’autore: intorno 1892, Wilde si innamorò del giovane Alfred Douglas. A quel tempo la legge inglese puniva severamente l’amore omosessuale, così quando Wilde trascinò il padre di Douglas in processo accusandolo di avergli recato gravi offese, quest’ultimo ne approfittò per denunciare Wilde di omosessualità. Tra i verbali del processo mosso contro lo scrittore, è riportato che gli fu domandato cosa ne pensasse della poesia scritta da Lord Alfred Douglas (poeta uraniano) intitolata “L’amore che non osa pronunciare il suo nome”. Wilde rispose:
«L’Amore, che non osa dire il proprio nome in questo secolo, è un grande affetto di un uomo più anziano per un altro più giovane quale vi fu fra Davide e Gionata (due personaggi della Bibbia), quale Platone mise alla stessa base della sua filosofia, e quale si trova nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare. Quell’ affetto profondo, spirituale, che non è meno puro di quanto sia perfetto, e che detta grandi opere d’arte come quelle di Shakespeare e Michelangelo, e quelle mie due lettere, così come sono, e che in questo secolo viene frainteso – talmente frainteso che per esso mi trovo dove sono adesso. È bello, è elevato, è la più nobile forma di amore. È intellettuale, si verifica sempre tra un uomo più grande e un uomo più giovane quando l’uomo più anziano possiede intelletto e quello più giovane ha tutta la gioia, la speranza e il fascino della vita davanti a sé. Che così sia, il mondo non lo capisce. Se ne fa beffe, e a volte mette qualcuno alla gogna per questo».
Dopo questa risposta data da Wilde, il pubblico applaudì… ma nonostante ciò fu condannato.