di Giancarlo Di Stadio
One Piece: il manga dei record. Lo shonen creato da Eiichiro Oda a 24 anni dall’uscita del primo volume. Una storia di pirati? Molto di più!
Il 22 Luglio 1997 iniziava l’avventura di Rufy, Luffy o Rubber (a seconda del tipo di adattamento) alla ricerca del One Piece.
Da allora sono passati quasi 24 anni, un arco temporale coperto da ben 4 decenni diversi, 480 milioni di copie vendute e diversi record battuti.
Senza alcun dubbio, il manga creato e ideato da Eiichiro Oda, ha raggiunto vette che nessun altro manga aveva raggiunto prima (e che difficilmente raggiungerà dopo).
Ma perché tanto successo?
Partiamo dall’inizio.
Se in questi 24 anni avete vissuto su di un altro pianeta, dovete sapere che One Piece è uno shonen (manga rivolto a un target maschile di adolescenti e giovani) che racconta le vicende di Monkey D. Rufy (o Monkery D. Luffy, o Monkey D. Rubber a seconda dell’adattamento) e della sua ciurma alla ricerca di un tesoro lasciato da Gol D. Roger, il Re dei Pirati, la cui esistenza è stata rivelata al mondo dallo stesso Roger poco prima di essere ucciso dalla Marina.
Il One Piece è il motore della storia che fa iniziare il viaggio di Rufy.
Nella prima parte della storia il nostro eroe, che avendo mangiato un Frutto del Mare ha il corpo di gomma (ecco il motivo del nome Rubber nell’adattamento anime italiano), recluta la sua ciurma.
Ed è qui che c’è il primo grande motivo di interesse.
One Piece infatti è un classico “viaggio dell’eroe”, un racconto ricalcato sui topos dell’Odissea.
C’è un eroe che deve andare dal punto A al punto B e, durante il tragitto, affronta difficoltà sempre crescenti che lo aiuteranno a migliorarsi e a superare i suoi limiti.
One Piece però non è solo il viaggio dell’Eroe di Rufy, ma anche quello della sua ciurma.
I componenti del gruppo di eroi sono ottimamente caratterizzati.
Ognuno intraprende il viaggio nel Grande Blu, l’oceano dove si svolgono la maggior parte delle vicende, con uno scopo ben preciso.
Ognuno ha una crescita coerente e soprattutto interessante durante il suo viaggio. E’ difficile per un lettore/spettatore non identificarsi con almeno uno dei componenti della ciurma.
La testardaggine e l’ingenuità di Rufy, un tratto distintivo della maggior parte dei protagonisti degli shonen, potrebbe non colpire tutti.
Ma difficilmente, anche il lettore più esigente, non potrà trovare, in qualche altro personaggio della ciurma, sia esso lo spadaccino Roronoa Zoro o la navigatrice Nani, qualche punto di identificazione.
Tutti i personaggi, partecipando ad un viaggio collettivo, hanno uno sviluppo coerente e deciso. Non ci sono le tanto abusate ultimamente marysuizzazioni o improbabili McGuffin.
Ognuno affronta, a modo suo, delle difficoltà. E ognuno, in determinati tratti dell’avventura, diventa co-protagonista di Rufy.
Crescendo in primis lui stesso e poi trovandosi ad essere motore della crescita del protagonista.
Ma non solo, perché accanto a personaggi principali ben scritti e strutturati, ci sono anche degli antagonisti di altissimo livello.
Nessun cattivo, nemmeno quelli più volutamente negativizzati, è cattivo “perché si”.
Già il fatto che i protagonisti siano pirati, quindi fuorilegge, e gli antagonisti siano spesso della Marina, quindi di un’entità statale apparentemente legittima, fa si che le posizioni siamo sfumate.
Ci sono pirati onorevoli, buoni, ma anche i classici bucanieri senza scrupoli. Così come tra le fila della Marina ci sono ufficiali arrivisti, fanatici giustizialisti, ma anche chi davvero crede nel governo e nella divisa che indossa.
Gli antagonisti principali non sono mai buttati lì a caso, ma hanno un background coerente e soprattutto un’evoluzione ben visibile e non forzata.
Capita che personaggi che inizialmente sono mostrati come “cattivi” col tempo inizino ad assumere contorni più sfumati fino a diventare una sorta di anti-eroi.
Ad esempio il marine Smoke, inizialmente vera e propria spina nel fianco della ciurma, col tempo finisce, pur non rinnegando mai la sua affiliazione alla Marina di fronte alle scorrettezze e ai soprusi dei suoi capi, per essere un personaggio con cui il lettore si identifica volentieri.
Ed anche Marshall D. Teach, soprannominato Barbanera, il cattivo della seconda parte del manga, non è un cattivo buttato lì, ma qualcuno con sogni, speranze ed obiettivi. Esattamente come la ciurma protagonista.
C’è poi il sapente utilizzo dei momenti drammatici. Al netto della tipica esagerazione giapponese, alcuni momenti del manga/anime raggiungono vette emozionali degne della migliore filmografia.
Ad esempio la morte di Ace, fratello del protagonista e momento spartiacque della storia, è unanimemente ritenuta uno dei punti più alti che il medium del manga ha raggiunto negli ultimi anni.
Di momenti ce ne sarebbero tanti da elencare a dimostrazione della verve creativa di Oda, la quale non sembra scemare dopo anni ed anni passati a raccontare il suo universo.
One Piece è diventato col tempo non solo il racconto di una ciurma di pirati, ma quello di un intero universo narrativo con una lore ben definita e sviluppata.
Si, perché gli avvenimenti di One Piece non sono buttati in mezzo ad un mondo costruito col solo fine di creare un setting decente. Gli eventi di One Piece portano alla continua evoluzione di quel mondo.
Per fare un esempio: in altri manga di successo come Dragon Ball sembra quasi che le vicende dei protagonisti siano staccate dalla vita del resto del mondo.
Il mondo è coinvolto solo marginalmente e i mutamenti di esso sono solo in funzione della storia dei protagonisti.
In One Piece invece il mondo va avanti anche a discapito dei protagonisti.
Certo, come è logico, i cambiamenti sono spesso innescati dai protagonisti e sono funzionali al loro viaggio.
Ma capita che essi si intreccino con linee narrative che sono iniziate e si sono sviluppate indipendentemente da loro.
Tutto questo ha permesso ad Oda di tenere alta l’attenzione per ben 24 anni.
Un lasso di tempo che, in un’epoca in cui la medialità è mordi e fuggi, non ha fatto scemare l’interesse per la sua opera.