di Annarita Farias
The Good Place: la sitcom creata da Mike Schur arriva al capolinea dopo quattro anni di risa, pianti e filosofia.
The Good Place è, senza dubbio, una delle comedy più originali e lodevoli degli ultimi anni, tanto da esser riuscita a catturare l’attenzione del pubblico per quattro lunghe stagioni.
Tutto ebbe inizio così…
“Ciao, Eleanor. Sono Michael. La tua vita terrena è finita e ora sei nella fase successiva della tua esistenza nell’universo. Non si tratta del paradiso o dell’inferno a cui ti hanno insegnato a credere. Ma, in linea di massima, qui c’è una parte buona e una parte cattiva. Tu sei nella parte buona” – Michael, The Good Place
Creata da Mike Schur –sceneggiatore e produttore di The Office, Parks and Recreation, Brooklyn NineNine – The Good Place presenta un cast d’eccezione (Kristen Bell, William Jackson Harper, Jameela Jamil, D’Arcy Carden, Manny Jacinto, Ted Danson).
La serie è composta da 50 episodi di circa 20 min (eccetto il finale di serie di 54 min) suddivisi in quattro stagioni.
È stata trasmessa dal 19 settembre 2016 fino al 30 gennaio 2020 su
NBC, ed è possibile trovarla ora completa su Netflix.
Trama: “Va tutto bene”
Eleonor Shellstrop (Kristen Bell) è una giovane e comunissima donna che, dopo una morte improvvisa, si ritrova catapultata nell’aldilà dove viene accolta dal suo angelico mentore, Michael (Ted Denson).
Quest’ultimo le rivela dell’incidente fatale che l’ha travolta e che, grazie ad una vita incredibilmente generosa e ricca di buone azioni, le è stata concessa l’eternità in uno dei quartieri della
“parte buona”.
In realtà Eleanor è una persona particolarmente meschina ed egocentrica e presto si rende conto di essere lì per errore.
Non avendo alcuna intenzione di andare nella “parte cattiva”, decide di imparare a diventare una brava persona grazie all’aiuto di Chidi Anagonye (William Jackson Harper), un professore di etica senegalese (con il peccato di essere un eterno deciso) che scoprirà essere poi la sua anima gemella.
Ma cosa accadrà quando realizzeranno che anche Chidi e i loro due amici – Tahani (Jameela Jamil), affascinante ereditiera inglese, e Jason (Manny Jacinto), buddista/dj ottuso – sono una falla nel sistema?
Un bizzaro post mortem
Cosa ci aspetta dopo la vita è un quesito che da sempre genera controversia e riflessione, ma il post mortem pensato da Mike Schur è probabilmente il più bizzarro e spiritoso di tutti: la “parte buona” è suddivisa in quartieri creati da angeli-architetti.
Qui c’è sempre il bel tempo, tutti i residenti sono perennemente gentili e sorridenti con il prossimo, hanno una casa che rispecchia la propria personalità, si dilettano nelle attività che più desiderano e hanno a loro disposizione Janet (D’Arcy Carden), un’interfaccia tecnologica in cui è concentrato tutto il sapere dell’universo.
Tutto è perfetto ma, sfortunatamente per Eleonor, nella “parte buona” non c’è possibilità di ubriacarsi né di imprecare, a causa dell’autocensura.
Tutte le parolacce, infatti, vengono direttamente trasformate per assonanza:
“Che ca**o!” (“What the f*ck!”) diventa “Che casco!”( “What the fork!”), “Pu***na” (B**ch) diventa “Poiana” (Bench), e ancora, per esempio, “Gran figlio di poiana forcuta e malgascia” (in lingua originale, “Holy motherforking shirtballs”), che non occorre certo spiegare a quale imprecazione allude, no?
Ad ogni azione corrisponde una reazione: l’effetto farfalla
“Benvenuti al vostro primo giorno nell’aldilà. Voi tutti siete state brave persone”
Ma come facciamo a saperlo? Durante la vita sulla terra, ogni vostra azione ha ricevuto un punteggio positivo o un punteggio negativo, a seconda di quanto bene o male quell’azione ha diffuso nell’Universo.
Ad ogni sandwich che avete mangiato, ad ogni rivista che avete acquistato, ad ogni singola cosa che avete fatto è seguito un effetto che si è propagato nel tempo per creare alla fine una quantità di bene o una quantità di male. Sapete le persone che se c’è traffico vanno nella corsia d’emergenza e pensano che tanto nessuno li stavano guardando? Ecco, noi guardavamo. Sorpresa!”
– Michael, The Good Place
È noto che, nella prima metà del ‘900, il matematico e filosofo britannico Alan Turing – nel suo saggio Macchine calcolatrici e intelligenza – introdusse per la prima volta una riflessione sul rapporto azione/reazione che, qualche anno dopo, ha dato vita alla teoria dell’effetto farfalla.
Secondo questa teoria, ogni azione, per quanto minima ed apparentemente innocua, cambia inevitabilmente il corso della storia, della nostra storia:
“Un solo battito delle ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”
Questo è ciò che spiega, con altre parole, anche Michael alle anime-residenti il loro primo giorno nell’aldilà.
Ciò che determina la condotta buona o cattiva di ogni individuo non sono semplicemente le proprie azioni, ma anche e soprattutto ciò che ne consegue da esse, la “quantità di bene o di male che ha immesso nell’Universo” quella singola azione.
Un sistema di giudizio preciso, ma soprattutto rigido e severo, che nel corso della serie verrà più volte messo in discussione.
Diventare la miglior versione di sé
“Quando il vostro tempo termina, noi calcoliamo il valore totale della vostra vita usando un accuratissimo sistema di misurazione.
Solo le persone con un punteggio molto alto arriva nella parte buona.
Siete qui perché avete vissuto una delle vite migliori che si potessero vivere”
– Michael, The Good Place
Dopo essersi resa conto di non aver condotto una vita esemplare e di non meritare il Paradiso, Eleonor decide di conquistarsi quella bontà d’animo e moralità che le è sempre mancata.
È così che parte un rehab morale che coinvolge tutti e quattro i protagonisti: Eleonor, Tahani e Jason iniziano una vera e propria
missione all’automiglioramento insieme a Chidi e ai suoi insegnamenti di filosofia morale.
Si metteranno in gioco, falliranno più e più volte, incontreranno migliaia di ostacoli e spesso getteranno la spugna… ma nella loro surreale avventura (ultraterrena e non), impareranno tanto e insegneranno al pubblico molto di più.
E proprio tra citazioni di Aristotele, Kant o Hume, e battute satiriche sull’attualità americana che la sitcom di Schur riesce a far ridere (e, a volte, anche un po’ commuovere) facendo riflettere con leggerezza e allegria su domande esistenziali che riguardano l’Umanità e il Divino.
In ogni episodio il pubblico si ritroverà davanti ad un cocktail superalcolico fatto di conflitto metafisico e di dilemma etico, e spesso non ci saranno risposte a tutte quelle domande.
“Se ci fosse una risposta che potrei darti su come funziona l’universo non sarebbe speciale. Ti direi che è solo un macchinario che soddisfa il suo disegno cosmico. Ma visto che nulla sembra avere un senso, quando trovi qualcosa o qualcuno che ce l’ha è entusiasmante. In tutta questa casualità, in tutto questo pandemonio, vi siete trovati. Avete avuto una vita insieme. Non è straordinario?”
– Janet, The Good Place
Paradossalmente, The Good Place è un inno alla vita
The Good Place è, paradossalmente, un inno alla vita. Con il suo sguardo alla morte, Mike Schur è riuscito a creare un aldilà che – senza riferimento ad alcuna precisa ideologia religiosa – ha creativamente una sua logica.
Nell’oltre-mondo di Schur non ci sono davvero personaggi buoni e cattivi né angeli e demoni, ed anche la linea tra giusto e sbagliato è curiosamente sottile.
Ma la sua bellezza è proprio questo, la sua imperfezione nel trattare il divino la rende una serie deliziosamente umana.