di Nunzia La Montagna
Torquato Tasso: La Gerusalemme liberata, versione non censurata di quello che sarà il poema eroico “La Gerusalemme Conquistata”.
La Gerusalemme liberata è stata scritta da Torquato Tasso e pubblicata nel 1581.
Quest’opera può essere interpretata come la rappresentazione poetica della civiltà controriformistica, non solo perché in essa assistiamo al trionfo del cristianesimo sui suoi nemici, ma anche perché rinveniamo situazioni tipiche della religiosità postridentina, quali cerimonie solenni, processioni, riti collettivi.
Nel poema di Tasso si percepisce l’esigenza complessiva di uniformarsi a una norma e a un canone, di rientrare in un codice esterno e preesistente alla poesia, imposto dal contesto spirituale e culturale dell’epoca.
Infatti, con il Concilio di Trento, la Chiesa avvia una riflessione e un’azione profonda rispetto alla sua presenza nel mondo.
Per un verso vuole recuperare una religiosità più genuina e autentica, vuole offrire una testimonianza più diretta e attiva tra il popolo cristiano.
Per un altro verso, riafferma e riorganizza il proprio potere sul piano dell’autorità assoluta e della tradizione ecclesiastica.
Nascono così la Compagnia di Gesù, il Tribunale dell’Inquisizione e l’Indice dei libri proibiti.
In questo clima di conservazione, di fronte alle difficoltà di ogni genere che ostacolano nuove conoscenze ed esperienze, la reazione prevalente degli intellettuali italiani è quella di trovare conferme e “rifugio” nella dignità della grande tradizione classica.
L’artista in questo periodo si trova a operare in una realtà che gli pone molti limiti di natura sociale, economica e intellettuale; e gli offre uno spazio di realizzazione definito da regole e da modelli precostituiti.
Egli si adatta alla situazione ma questa condizione contrasta con quell’ideale di equilibrio e di armonia razionali tipici del Rinascimento e suscita dunque inquietudine, insofferenza e disagio.
Tuttavia, il poema di Tasso ci fa assistere alla rappresentazione di continue deviazioni dalla norma.
Basti considerare, per esempio, gli atteggiamenti individuali dei guerrieri cristiani, che abbandonano l’impresa collettiva della guerra e si impegnano nella ricerca del piacere o in vendette private, finendo per somigliare ai personaggi della letteratura cavalleresca, più che ai combattenti di una crociata.
Un caso emblematico e complesso di deviazione dalla norma è costituito dal forsennato duello fra Tancredi e Clorinda.
I due combattono non tanto in nome dei rispettivi eserciti o delle rispettive religioni, bensì in virtù del sentimento individuale dell’orgoglio.
Tuttavia, l’ambito dove l’eccezione stride più intensamente con la norma è senza dubbio quello dell’amore.
Questo sentimento privato, che giocava un ruolo così importante nel poema cavalleresco, non dovrebbe avere diritto di cittadinanza nel poema delle armi e della religione.
In realtà, però, esso è ben presente e costituisce il principale e più scandaloso elemento narrativo.
Per amore molti personaggi cessano infatti di combattere, passano allo schieramento nemico, antepongono le ragioni individuali a quelle collettive, privilegiano una fonte di piacere a detrimento dei compiti che raccomanda la religione, come l’adempimento del dovere e la conservazione della purezza.
Da un lato si può osservare la grandezza di un autore che in nome dell’arte riesce a creare un’opera che possa aggirare la Controriforma; dall’altro si può notare che questo “fuggire” dalla censura è rappresentato attraverso la forza dirompente dell’amore, che arriva come un uragano e riesce a smuovere anche gli animi più stabili.
Questo perché l’amore non può essere confinato in spazi, non ha limiti, non ha regole.