di Matilde Maione
Un percorso tra gli artisti che hanno reso celebre questo fenomeno artistico in tutto il mondo e allo stesso tempo hanno creato scalpore e disapprovazione.
“La linea tra arte e vita deve rimanere fluida, e la più indistinta possibile”
Allan Kaprow
Gli “attori” sul palcoscenico di quello spettacolo chiamato “Performance Art”
Il primo a coniare il termine “Happening” fu Allan Kaprow (artista statunitense nato nel 1927 ad Atlantic City).
Allan Kaprow (Fonte: exibart.com)
Per Happening si intende indicare una forma d’arte che non si concentra sull’oggetto in sé ma sull’evento che si riesce a creare intorno a quell’oggetto o concetto. L’Happening richiede spesso la partecipazione attiva del pubblico.
Solitamente, infatti, il fruitore è coinvolto sia fisicamente che psicologicamente in quanto portato dal ragionamento a compiere l’azione e diventando di fatto parte dell’Happening.
Questo termine entra nell’uso corrente nell’ottobre del 1959 quando Kaprow lo inserisce sul biglietto d’invito all’azione “18 Happenings in 6 Parts” alla Reuben Gallery di New York.
“Fluids”: Happening riproposto (a cura dell’ArmoryArtsPasadena) dopo quello del 1967 a Los Angeles. “Per tre giorni, verranno costruiti circa 20 recinti rettangolari di blocchi di ghiaccio (lunghi circa 30 piedi e alti 8) in tutta la città. Le loro pareti rimarranno intatte. Si scioglieranno da sé” (Allan Kaprow). Chiunque può partecipare alla costruzione dei blocchi. Già da qui parte l’happening. (Fonte: repubblica.it)
La Performance Art, come la si intende oggi, pone dunque le sue radici nell’Happening e nella Body Art.
Infatti, prima di questi eventi performativi le azioni svolte dagli artisti su di sé o su terzi non avevano ancora una vera e propria definizione.
Oltre l’ormai famosa Marina Abramović ci sono molti performer che con la loro arte hanno avuto e tutt’ora svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella definizione della Performance Art.
Uno di questi è Hermann Nitsch (performer austriaco, classe 1938) che con le sue performance artistiche ha forse fatto più scalpore di tutti.
Le sue performance dovevano far ribrezzo, scandalizzare, dovevano innescare nel subconscio del fruitore un meccanismo di autodifesa alle aberrazioni a cui stava assistendo.
Le azioni protagoniste delle sue performance prevedevano anche la lacerazione dal vivo di animali dai quali doveva necessariamente sgorgare sangue (prevedevano talvolta la fuoriuscita delle membra).
Quindi animali sacrificati in croce, nudità e sangue erano l’oggetto delle sue performance che hanno suscitato non poche polemiche. Il dato più interessante però è che il “pubblico” e dunque i fruitori di tali performance, nonostante tutto, assistevano agli atti e non abbandonavano la scena.
L’obiettivo dell’artista era infatti, far capire, attraverso il comportamento dei fruitori che, appunto, trovandosi di fronte a performance aberranti, assistevano fino alla fine, a testimonianza di quanto l’essere umano sia incline alla violenza e alla distruzione e ne sia affascinato e, tal volta, anche complice.
L’artista è stato processato molte volte e condannato a tre pene definitive.
Museo Hermann Nitsch a Napoli (Fonte: napolidavivere.it)
Pioniere delle ricerche legate al corpo e all’auto-rappresentazione fu invece Urs Lüthi (fotografo, pittore e performer svizzero, classe 1947).
Urs Lüthi (Fonte: ursluethi.com)
La sua dualità ha giocato un ruolo fondamentale nel suo lavoro artistico. Nelle sue performance egli si proponeva, infatti, al pubblico nella sua versione maschile ma anche nella sua controparte femminile rimandando all’essere e all’apparire e quindi alla compresenza di una doppia identità assolutamente accettata.
Il suo lavoro è una continua voglia di far scoprire al fruitore lati del proprio io assopiti, non accettati o addirittura sconosciuti ma esistenti.
Dunque, specchiarsi di fronte al proprio io interiore ed accettarne le diversità, riconoscendo la dualità che esiste in ognuno di noi.
L’artista è dunque al centro dell’atto creativo. Dagli autoritratti fotografici al travestimento, dalla realizzazione di un calco della sua testa alla realizzazione di brevi video in cui è protagonista, tutto è focalizzato alla trasmissione, attraverso il proprio corpo, del messaggio concettuale.
“Selfportrait with Boa” – Photo on Canvas, 118 x 79 cm, 1970
“Selfportrait in six Pieces” – Photos on Canvas, 153 x 280 cm, 1975 (Si trova al Museo Madre di Napoli)
(Fonte: ursluethi.com)
Il centro cruciale di tutte le sue opere però non è sé stesso bensì la persona, l’altro. In quanto appunto egli attraverso le sue performance vuole portare lo spettatore a riflettere su sé stesso e l’importanza delle azioni che ogni giorno vengono compiute e che inevitabilmente rendono l’uomo ciò che è stato, ciò che è e ciò che diventerà.
Altra artista che ha fatto del proprio corpo l’oggetto delle sue performance è stata Gina Pane (performer francese ma vissuta in Italia, classe 1939)
Gina Pane – “White doesn’t exist” (Fonte: performanceartebodyart.wordpress.com)
L’artista inizia il suo percorso artistico dipingendo. Sono infatti i dipinti geometrici i protagonisti del suo primo operato in ambito artistico per poi spostarsi sempre di più verso la performance usando il suo stesso corpo.
Sottopone a prove di resistenza il suo corpo attraverso ferite che essa stessa si provoca, denunciando le ingiustizie sociali e soprattutto il ruolo della donna nella società.
In “Azione sentimentale” (1973), una delle sue performance più conosciute, le spine delle rose conficcate negli avambracci e le ferite auto-provocate con la lametta diventano simboli di una condizione femminile che Gina Pane analizza nelle sue componenti più intime e universali.
Azione Sentimentale, 1973. Constatazione dell’azione realizzata presso il Centre Pompidou, Parigi 1973. (Fonte: flash—art.it, moma.org)
“Altro elemento importante per me è quello di comunicare attraverso la ferita la perdita dell’energia. E in tale contesto la sofferenza fisica non è soltanto un problema personale ma un problema di linguaggio. […] Uso la metafora, il Tempo narrativo, plastico e immaginativo. La costruzione di una azione parte dal concetto di uno spazio-forma, segni colorati, ferita, oggetti” (G. Pane)
Di gran lunga più cruente ed agghiaccianti sono le performance di Rudolf Schwarzkogler, che fa del suo corpo il protagonista della sua arte performativa.
Al pari di Nitsch, l’artista, utilizzando il suo stesso corpo, esaspera sentimenti quali: la repressione, il dolore e la mortificazione che l’uomo possa provare, dando vita a performance disturbanti ed estreme.
Action, Vienna Summer 1965 (Fonte: dorotheum.com)
È stato un portavoce degli Azionisti Viennesi. Un movimento artistico e politico collocato nel campo della Body Art che, tra gli anni sessanta e settanta, incarnano i limiti massimi delle esperienze corporali realizzando azioni con una marcata tensione verso la crudeltà, quest’ultima operata fisicamente verso sé stessi e psicologicamente verso il pubblico.
Infine, altra artista interessantissima è Cindy Sherman (artista statunitense classe 1954).
Cindy Sherman (Fonte: ilsole 24ore.com)
Famosa per i suoi autoritratti concettuali la Sherman ha fatto del travestimento la sua personalissima interpretazione degli aspetti stereotipati della figura umana e soprattutto della figura femminile.
L’artista utilizza la macchina fotografica come strumento principale e sé stessa come attrice “sulla scena” interpretando i ruoli studiati in precedenza.
Nonostante il suo intento di denuncia contro lo steriotipo di genere, fa specie che le critiche ricevute durante le sue performance giungessero proprio dall’ambiente femminista che l’ha accusata di proporre l’ennesima “proiezione dell’inconscio maschile” e non di denunciare gli aspetti critici della tematica trattata.
Rappresentazioni di Cindy Sherman nel 1981, 1990, 2008 (Fonte: moma.org)
C’è ancora moltissima confusione su cosa sia o non sia la Performance Art. Alcuni artisti di ieri e di oggi potrebbero però, sicuramente dissipare dubbi e perplessità di appassionati e fruitori d’arte nel mondo. Come? Attraverso lo “spettacolo” della loro arte!
Fonti ed approfondimenti: repubblica.it, madrenapoli.it, cultframe.com, artslife.com, enciclopediadelledonne.it, moma.org
Foto in copertina di Gina Pane: dreamideamachine.com
Video: YouTube