Si è conclusa da poco la mostra “Andy Warhol” a Napoli, svoltasi alla Basilica della Pietrasanta dallo scorso 26 settembre 2019 al 23 febbraio 2020.
Ma non è la prima volta che la città partenopea ospita la produzione artistica di Warhol. Lo stesso Andy è stato più volte a Napoli.
Andy Warhol a Napoli
Nel 1975 Warhol è Napoli su invito di Lucio Amelio (artista, gallerista e collezionista d’arte). Invito arrivato a Warhol dopo che quest’ultimo ebbe modo di incontrare e conoscere, l’anno prima a New York, il famoso gallerista italiano.
Durante il suo soggiorno, Warhol rimase colpito dalla città di Napoli, che in qualche modo gli ricordava il fermento della Grande Mela. Fermento, che non si è mai assopito, vivo negli animi delle persone che ancora oggi vedono in Napoli una città ricca e piena di cultura, aperta a tutti e a tutte le idee che affollano la mente dei giovani.
Warhol tornerà ancora a Napoli, scatterà foto in giro per la città con la sua inseparabile Polaroid, festeggerà al famoso City Hall Café, centro nevralgico della movida partenopea in quegli anni ed amerà sempre questa città.
Andy Warhol, Joseph Beuys e Lucio Amelio, 1980, mostra “Terrae Motus”
Andy Warhol: La mostra
Quest’ultima mostra dedicata alla produzione artistica di Warhol dimostra il fascino e la suggestione che ebbero i periodi vissuti a Napoli dall’artista.
Già dall’ingresso il visitatore viene travolto dall’atmosfera, dal fermento di quegli anni passati, resi attraverso la scelta di musica ed elementi che fungono da macchina del tempo.
Il percorso è stato studiato ad hoc. Ci si immerge in una Factory “partenopea” dove anche l’uso della carta stagnola per rivestire l’ultima sala che saluta il fruitore non è una scelta casuale, riportando alla mente la “Silver Factory” (la fabbrica d’argento) come fu definita da chi la frequentava, in cui Billy Name, amico di Warhol e fotografo della Factory, ricoprì lo studio usando lo stesso materiale e verniciando d’argento ogni parete (fece lo stesso anche con il suo appartamento).
La mostra organizzata da “Arthemisia” sotto la cura esperta di Matteo Bellenghi attraversa i miti dello Star System e del merchandising come le famosissime “Campbell’s Soup”, il ritratto serigrafato di Marilyn derivato da un fotogramma di Gene Korman, le celebri serigrafie di Mao del 1972 e il famosissimo Flowers del 1964. Ancora, le raffigurazioni di personaggi celebri come per esempio Mick Jagger, Elizabeth Taylor e Susan Sarandon.
Durante il percorso si percepisce il rapporto che Warhol ha avuto con l’Italia e soprattutto con Napoli, attraverso svariate opere prodotte proprio nel “Bel Paese”, tra cui la serie “Vesuvius”.
Infine, le postazioni dove poter ascoltare la musica di quegli anni è un’istallazione che non solo permette di immergersi totalmente nelle atmosfere di allora, ma rende il visitatore, parte di una storia che si percepisce come alle spalle e che è invece qualcosa che si svolge di fronte agli occhi e le orecchie di chi osserva il percorso espositivo.
Quindi era davvero necessaria questa mostra?
Coloro che frequentano per passione i musei ed i luoghi culturali, il fruitore medio, coloro i quali svolgono percorsi di studi nell’ambito artistico/culturale, tutti sono stati lentamente “abituati” al: ciò che andava creato e rivoluzionato è stato già fatto.
Si è per cui creata assuefazione ed è “normale” oggi considerare l’arte, la cultura e le menti sature di “nuovo già visto”. Una Pop Art 2.0 nel quale non si crea più nulla ma si disfa e si “svecchia” ciò che è già noto, conosciuto, usato, consumato.
Questa mostra del resto è una prova tangibile della difficoltà da parte di curatori, galleristi e di tutte le professionalità del settore, di portare al fruitore artisti poco noti ma che hanno segnato inequivocabilmente la storia dell’arte. Produzioni artistiche che aspettano di essere “scoperte” e “riscoperte” ma che per tutta una serie di fattori (in primis le esigenze economiche), vengono “accantonate” a favore di grandi nomi dell’arte che attirano una grande quantità di persone.
Questa mostra, infatti, è stata un successo ed ha attirato migliaia di visitatori da ogni parte d’Italia e del mondo; che avvalora la tesi secondo cui l’arte è un prodotto che va “venduto” perché enti museali, privati, sono immessi nel mondo del mercato (in questo caso artistico) che non fa “sconti” a nessuno.
Era per cui necessaria? E’ sempre necessario creare mostre nel quale viene presentato un grande nome dell’arte attraverso punti di vista nuovi, inediti e creativamente stimolanti. Ma è anche necessario riflettere sul come sia altrettanto importante rendere in parallelo mostre “di punta” con una tipologia di mostre “scoperta” che possono andare a centrare l’obiettivo di portare davvero un contributo nuovo nella società contemporanea.
Possiamo dunque riflettere sul cambiamento che ha investito le esposizioni degli ultimi vent’anni. Sempre più interattive, coinvolgenti, immersive, sempre più mainstream, divertenti e funzionali allo scopo, vendere.
Possiamo soprattutto riflettere su come strumenti sempre più all’avanguardia debbano essere messi a servizio dell’arte e non viceversa.